MATERA - Trasformare il pensiero in azione per trasmettere un sapere avvolto dal mistero. È questa l’archeologia per Isabella Marchetta, 45 anni, materana, archeologa medievista che da oltre venti anni si sporca mani e volto per portare alla luce ciò che è nascosto sotto la terra bruna, attraverso campagne di scavo che l’hanno portata prima in Campania, poi in Calabria, in Molise, nelle Marche e infine in Basilicata.
Diplomatasi al Liceo Scientifico Dante Alighieri, si iscrive alla Facoltà di Conservazione dei beni cultural i- indirizzo archeologico all’Università Federico II di Napoli, frequentando i corsi nella sede distaccata di Santa Maria Capua Vetere.
Un esperimento felice lo definisce Isabella, perché la piccola Università le permette di avere un rapporto diretto con i professori e la possibilità di fare esperienza sul campo. «Durante gli anni universitari- racconta - ho partecipato alla campagna di scavi nell’antica città di Calazia, nel comune di Maddaloni, e mi sono dedicata allo studio di alcuni materiali risalenti all’età greca e all’età tardo antica e lì ho acquisito esperienza in questo campo». Nonostante nutra una forte passione per questo lavoro, non è mai stato per Isabella il sogno nel cassetto per eccellenza. «Ho capito di voler fare l’archeologo solo dopo il diploma - dice - forse un seme che si è sedimentato ed è germogliato nel tempo, grazie ai miei genitori che da piccoli, io ho altri due fratelli, ci portavano spesso a visitare le città d’arte. E quando mi sono trovata a dover scegliere la facoltà, non ho avuto dubbi». È stato un percorso di studi abbastanza lungo e impegnativo. «Quattro anni di università, più la tesi sperimentale e in seguito la Scuola di specializzazione in beni archeologici dell’Università degli studi della Basilicata, diretta allora dal professor Massimo Osanna, una delle 15 selezionata tra 80 candidati».
Un percorso articolato che però le ha dato le basi e gli strumenti per diventare una professionista che lavora non solo con gli Enti pubblici ma anche con i privati, essendo abilitata all’archeologia preventiva. «Un’abilitazione fondamentale nel rapporto con i privati- sottolinea- ma è un titolo formale. Gli archeologi hanno il problema del riconoscimento della figura professionale, parzialmente risolto con l’iscrizione a elenchi del Ministero dei beni e delle attività culturali. Io sono in prima fascia per titoli di studi ed esperienza professionale che ho acquisito da subito. Mi sono laureata a dicembre e a marzo lavoravo in un cantiere in Campania. Per diversi anni sono stata archeologa junior in affiancamento a un altro archeologo, poi ho lavorato per una cooperativa archeologica e durante gli anni della Scuola di specializzazione ho iniziato a operare sul territorio lucano, spostandomi spesso in altre regioni».
Isabella è una libera professionista, conosce i rischi del mestiere, pagamenti in ritardo, prestazioni non sempre retribuite, ma anche la fatica delle ore trascorse in uno scavo all’aria aperta, respirando polvere e sopportando il caldo e il freddo, inoltre «negli anni- aggiunge- abbiamo perso la possibilità di avere operai specializzati e spesso facciamo formazione. In contesti delicati poi intervengo direttamente, ad esempio nello scavo delle tombe, mi occupo della ripulitura dello scheletro, dell’insacchettamento dei reperti e della documentazione fotografica. Uso per lo più il piccone e la pala, la trovel, una cazzuola a forma romboidale, ma anche il bisturi, i pennelli e attrezzi che ci facciamo fabbricare sul posto, io ad esempio ho uno specillo con la punta arrotondata che mi serve per ripulire i vasi senza danneggiarli. Un bravo archeologo si vede anche nel problem solving di un cantiere ».
A Matera Isabella, lo scorso mese di giugno ha seguito i lavori di scavo commissionati dal Comune a Porta Pistola, dove è stata ritrovata, sotto la pavimentazione, una Cappella privata con affreschi del 1600. E’ inoltre autrice del libro «Quando Lara Croft Arrossì – L’ordinarietà straordinaria di un’archeologa» (Altrimedia edizioni, 2017).