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E tra tanti figli unici restano pochi cognati

 
Michele Mirabella

Michele Mirabella

Senza legami di sangue, questi «fratelli» avevano una potestà inerziale: a volte cruciali, a volte nemici

Domenica 16 Febbraio 2025, 13:03

Mio padre aveva tanti fratelli e sorelle che, oggi, fatico a ricordarli tutti. Erano solo quelli sopravvissuti alla feroce selezione naturale dei primi anni del secolo breve. Tutti zii che, considerando la nomale pratica del matrimonio, quando non «dei» matrimoni, stante l’alta percentuale vedovile della categoria, raddoppiavano la pattuglia famigliare. Piccole moltitudini e, ogni volta che nasceva un bambino, a chiunque dell’affollata brigata, mio nonno proclamava che era la benedizione di Dio. Tempi duri, che io ricordi. Ma sereni: erano quasi tutti poveri e i pochi ricchi o solo abbienti, erano guardati con sospetto più che con invidia. Il problema erano le feste riconosciute sia religiose che di carattere sociale.

Vigeva, approvata dal buon senso di una diplomazia aggraziata, la prassi diplomatica che suggeriva di alternare la partecipazione alle feste. Del resto, come spesso accadeva come saggia diplomazia praticata, in genere, dai cognati ai tempi della mia infanzia, erano gli anni ‘50, la partecipazione a turno nell’alterno calendario delle festività. Le domestiche famiglie dei miei genitori non intrattenevano tra di loro affettuosi rapporti solo formali, altrimenti ai pranzi delle ricorrenze saremmo stati una moltitudine Saggiamente, si faceva a turno: dai parenti di babbo alla vigilia, dai parenti di mamma il Natale e così via. La replica di feste e banchetti alternati comprendeva, ovviamente numerose occasioni festose considerando i santi protettori di città e mansioni professionali. E, comunque, eravamo troppi, e i bambini mangiavano intorno ad un tavolo di fortuna apparecchiato in un angolo della stanza. Ed erano quelli che si divertivano di più. C’era sempre qualche cognato, o pretendente tale, che animava la festa. Erano i focosi pretendenti di una delle numerose sorelle di mamma e papà.

Queste belle famiglione sono state le ultime che abbiamo potuto contemplare. Oggi quando le famiglie si riuniscono, basta un servizio da sei per tutti, compresi un paio di nonni e il nuovo fidanzato della mamma. Se poi va di lusso e si tira fuori il servizio buono del secondo matrimonio di papà, è segno che sono stati invitati anche la nuova moglie di papà, il compagno della mamma e il vecchio fidanzato dell’ex moglie del nuovo marito della nonna paterna acquisita. Quella vera vive con un’ex ballerina nella villa del terzo marito della figlia di secondo letto del compianto primo marito. Con tutto questo accoppiarsi, figli pochini: per le statistiche, una media di tre quarti per coppia. Com’è tre quarti di figlio? L’unico marito di mia sorella gemella, mio cognato, che era all’antica, direbbe: tutta colpa della mangiatoia che è troppo bassa.

Il cognato è quella figura, famigliare per scelta, che si offre volontario schierandosi con i parenti (pochi) della moglie o, se e una donna, cognata dunque, con la famiglia di origine del marito che, oggi, ha pochissimi fratelli. Volontari in difesa della prolificità per interposte persone. Ponendosi in posizione mediana tra il fratello e il cugino, o la sorella e la cugina, tra il parente e l’amico capitato in sorte, avevano la potenzialità mediatrice di un estraneo affettuosamente super partes.

Era Flaiano che proclamava essere l’Italia una repubblica di cognati. Non so se intendesse, non avendole citate, le cognate. Ma opto per il plurale sommario compreso dall’uso del maschile sommario. Di costoro enunciava il ruolo chiave nelle relazioni sociali, grazie all’implicito allargamento strutturale della famiglia esigua dei tempi nostri, che ampliava i confini investendo gli acquisiti di una delicata funzione di diplomazia matrimoniale ben nota nell’antico. Flaiano, una mente di intuizioni folgoranti, talora, non si curava di argomentare, ma la verità dell’importanza dei cognati c’era tutta e, ovviamente, dava per scontato questo quadro della moderna situazione sociale, italiana, specialmente.

Questi quasi fratelli avevano la potestà inerziale, data la affinità famigliare stipulata e non discendente da legami di sangue, di mediare, interpretare i dettami di leggi ancestrali, attutirne contorni e ammorbidirne i rigori. Tanto cruciale era la funzione del cognato che se ne apprezzava la critica delicatezza in caso di contese famigliari nelle quali la conflittualità prevaleva sulla concordia. Il cognato nemico poteva risultare decisivo. E, specialmente «la» cognata. Interi clan sono stati liquefatti dalla funesta azione dei cognati, come tribù familiste si sono arroccate in potente difesa grazie a cognati fedeli al blasone di famiglia. Ormai, anche, purtroppo, il cognato sta sparendo. E la cognata pure. Spariscono con il prevalere delle famiglie con figli unici. Così come si estinguono malinconicamente cugini e zii, vittime della stessa mutazione demografica, decimati dalla gracile propensione degli Italiani a riprodursi, dimentichi, non solo di Flaiano, ma, anche, del vecchio D’Azeglio che incoraggiava a farli e a farle le italiane e gli Italiani, una volta fatta l’Italia.

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