Sabato 13 Dicembre 2025 | 18:47

Intelligenza artificiale o demenza criminale?

Intelligenza artificiale o demenza criminale?

 
Michele Mirabella

Reporter:

Michele Mirabella

L’intelligenza artificiale? Regolamentiamola, o sarà lei a «regolare» noi

Nell’era della comunicazione il legislatore sta studiando modi per evitare le storture da abuso di tecnologia

Domenica 07 Aprile 2024, 11:59

«La scienza consiste nel sostituire un sapere che sembrava certo con una teoria, ovvero, con qualcosa di problematico». Così, del concetto di umanità, Ortega y Gasset (1883-1955) filosofo pensatore. E la scienza, dubitando dell’acquisito, rifiuta la rassegnazione gnoseologica per cui non varrebbe la pena della fatica del comunicare, tanto nulla può esserlo compiutamente. La scienza nel suo costituirsi, esige di essere divulgata. Ma, sempre Ortega y Gasset, già negli anni suoi, allarmava su di un rischio, la divaricazione tra mezzi di comunicazione e cultura alta. E non c’era la televisione, Ortega se la prendeva con la stampa: «Se il mondo cammina a testa in giù, è perché il potere della stampa è invasivo e totalitario. Il potere totalitario dell’informazione, diceva Ortega y Gasset, è spirituale. Ma dei mass-media non possiamo, né vogliamo fare a meno.

Karl Popper, in un’intervista, ci ha lasciato una testimonianza preziosa di carità divulgativa. Dice che chi «fa» televisione, a qualsiasi titolo e rango, dovrebbe ottenere una patente: è, infatti, inaudito che ci siano ordini professionali d’ogni tipo e non esista un ordine per chi fa televisione, visto che, questa, ha un potere etico-sociale immenso: è, ancora, il più formidabile mezzo di divulgazione. Perché non dovrebbe porsi un problema etico chi lo usa, visto che non è solo un arsenale accessorio del mestiere giornalistico o scientifico che sia, ma comporta una responsabilità nel cui ambito va collocato il ruolo che si intende per la scienza e, soprattutto, per la medicina nella società? Il problema della divulgazione consiste nel rendere accettabili temi altrimenti inaccessibili, perché barricati nella roccaforte delle specificità, non del falsificare la realtà. Mi ostino, invece, ad avventurarmi nella fantasia creativa di Dante che, se decise di rendere i suoi itinerari culturali e metafisici in volgare, avrà avuto buone ragioni. Divulgare non significa banalizzare, ma piuttosto opporsi alla banalizzazione. Il massacro che viene perpetrato quotidianamente sulla lingua italiana, per esempio, non va nella direzione della divulgazione. Divulgare non significa amputare alla lingua le sue preziosità semantiche e lessicali; anzi. Divulgare significa provvedere ad attrezzare in modo cosciente il pubblico per un uso sempre più consapevole e ricco della lingua. Significa, quindi, tradurre, non banalizzare. In questo la buona stampa specializzata è più avanti della televisione. Credo che la divulgazione debba cominciare fuori dagli studi televisivi, o meglio, prima degli studi televisivi. Evidentemente il linguaggio medico, tra i tanti linguaggi scientifici, è quello che più direttamente implica l’interesse di larghi strati della popolazione. Ora, se non vogliamo far retrocedere le persone al rango di sudditi o trasformarle in consumatori, sarà bene che usiamo, prima di tutto, lingua. Chiara, condivisa, bella. Insegnare e divulgare significa rendere opera di liberazione. Il linguaggio medico, a volte, è inestricabile: da lì si può cominciare a far chiarezza. Non sto dicendo ai medici di tradurre. Il paziente e il medico sanno di parlare linguaggi diversi e addirittura simmetrici, confabulano in un’alleanza ineluttabile, ma difficile e comunicano le proprie solitudini: l’uno, il paziente alle prese col suo dolore che parla, diciamo cosi, con le parole del corpo umano e, l’altro, il medico che interpreta con quelle del corpo biologico e della sua tecnica. I due non comunicano e la relazione medico-paziente va in rovina già dal primo incontro se soggiace ai colpi di un’incomunicabilità che prende le mosse da due punti di partenza dissimili: la diversa nozione di corpo e la diversa cultura della comunicazione.

Da qualche tempo, nuvoloso, tempestoso tempo, negli ambiti della nuova comunicazione di massa, ci dobbiamo misurare con la cosiddetta «intelligenza artificiale».

Riprendendo la definizione contenuta nella Strategia dell’Unione Europea,  per intelligenza artificiale, si intendono «sistemi che mostrano un comportamento intelligente nell’analizzare il loro ambiente e intraprendere azioni, con un certo grado di autonomia, per raggiungere obiettivi specifici.  I sistemi legati all’Intelligenza Artificiale possono essere puramente basati su software, agendo nel mondo virtuale (ad esempio assistenti vocali, software di analisi delle immagini, motori di ricerca, sistemi di riconoscimento vocale e facciale) oppure possono essere incorporati in dispositivi hardware (ad esempio robot avanzati, auto autonome, droni o applicazioni Internet of Things)».

Tutto complicato, ma, riflettendo, ammettiamo che è un’invenzione formidabile. Se usata correttamente per promuovere verità e itinerari scientifici, filosofici, sociologici. Se usata da criminali, l’«intelligenza artificiale» diventa «demenza reale» istigata dalla possibilità di promuoverla al rango di ricerca della verità e, invece, marchingegno infernale per negarla, la verità, sostituendo ad essa la demenza, la frode, la criminalità. Il legislatore studi: faccia le sue ricerche su Internet.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)