«Specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?». Ma alla risposta, dettata non dal riflesso sul vetro ma dalla consapevolezza profonda che è assopita nell’anima di ognuno, la reazione è furiosa: all’avversaria non arrivano mele avvelenate ma insulti, spintoni e tirate per i capelli.
Una delle fiabe più famose al mondo viene replicata, perlomeno nella sua parte in cui la perfidia e l’invidia prendono il sopravvento su sentimenti nobili, nel cosiddetto basso Salento. Il «reame» è un piccolo paese della provincia di Lecce dove alcune ragazzine, sedicenni o poco più, avrebbero preso di mira una coetanea. Unico peccato della «vittima»? Essere bella, troppo più bella di loro.
I fatti sono venuti alla luce quando i carabinieri della locale stazione hanno dovuto mettere nero su bianco quanto i genitori della giovane perseguitata hanno denunciato. Fatti semplici, nella loro linearità. Lineari nel solco della semplicità invidiosa del vivere quotidiano. Ma con un finale a sorpresa che ora è al vaglio dei giudici del tribunale per i minorenni di Lecce a cui i militari hanno inoltrato la pratica. La vicenda prende le mosse dalla «solita» attività che ogni bravo genitore mette in atto. Osservare i figli e non trascurare nemmeno il minimo sbalzo d’umore o il cambiamento delle abitudini.
Il «termometro» genitoriale, dunque, funziona e la ragazzina parla: a perseguitarla sono le amichette. Adolescenti dottor Jekyll e mister Hyde: oggi pronte e condividere ogni alito e ogni segreto, l’indomani disposte a vomitare veleno. O andare oltre, passando alla violenza fisica. La casistica riempirebbe un volume a partire dalla letteratura classica ma basti un fatto recente, il delitto di Avetrana, per far drizzare le antenne a quanti comprendono il potenziale devastante di alcune vicende, nella ratio più estrema.
La confessione della giovane non ha lasciato molte interpretazioni: botte, insulti, tirate per i capelli. Episodi avvenuti all’uscita da scuola o in altri momenti della giornata scolastica. Tutto, infatti, si sarebbe verificato nel corso della scorsa primavera. La studentessa, per altro, avrebbe anche fatto ricorso ai medici dell’ospedale di Casarano, non solo per i traumi fisici ma anche per lo shock subito nel sentirsi perseguitata solo per la sua bellezza esteriore.
Ora è compito degli inquirenti inquadrare nella giusta luce l’accaduto che potrebbe essere sicuramente derubricato – al netto della futura pronuncia del giudice – come una intemperanza dell’età non ancora attenuata dai benefici effetti della maturità. Ma resta impresso che ai tempi della violenza devastante sul web e nei social, proprio la bellezza così inseguita nel perimetro virtuale diventi pretesto per uno scontro sul piano del reale con vere lacrime, vere ferite e vero dolore.