Il Mezzogiorno grande frontiera» è scritto a caratteri cubitali sulla prima pagina de «La Gazzetta del Mezzogiorno» dell’11 aprile 1965. Il motivo di un così profondo ottimismo è dato da un’occasione storica: l’inaugurazione del IV Centro siderurgico dell’Italsider di Taranto, alla presenza del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Dopo anni di discussioni con i governi, l’Italsider, società che raggruppa i diversi poli siderurgici italiani sotto il controllo dell’Iri-Finsider, ha scelto il capoluogo jonico per l’impianto industriale in base a ragioni non soltanto logistiche – in primis la vicinanza dello sbocco marittimo per la movimentazione del prodotto finito – ma anche politiche. Taranto è in condizioni socioeconomiche drammatiche: un impianto industriale di tale portata costituisce una risorsa irrinunciabile. Oltre quattro anni di impegnativi lavori – la prima pietra dello stabilimento era stata posta nel luglio 1960 – per realizzare il centro siderurgico più grande del Paese, con un’estensione maggiore della stessa città in cui sorge, dotato di una rete stradale interna di 30 chilometri, 90 chilometri di ferrovia, 21 di nastri trasportatori.
Nel novembre 1964 si è tenuta una prima cerimonia di inaugurazione con il presidente del Consiglio Aldo Moro, ma è nell’aprile di 59 anni fa che l’intero impianto entra in funzione. «Un complesso davvero imponente, moderno, senz’altro degno di un Paese avanzato e civile, senz’altro meritevole della fierezza con cui ne parlano i realizzatori»: esordisce così il Capo dello Stato nel suo discorso. «Fierezza legittima, esso è costato studi, passione, travaglio, denaro, fatiche, sacrifici. Ha impegnato uomini illustri e di grande valore».
Il pensiero va subito ai 35 operai che hanno perso la vita durante i lavori del siderurgico e a Salvino Sernesi, direttore generale dell’IRI scomparso qualche tempo prima e a cui lo stabilimento è intitolato. Saragat insiste sulla certezza che ormai lo Stato ha preso seriamente coscienza della realtà meridionale e si adopera per mutarla: «non siamo più nella fase delle promesse, ma siamo entrati nel ciclo delle esecuzioni e delle opere, anche se, senza dubbio, questo ciclo non sarà breve né scevro di difficoltà». «Nell’arduo cammino per la risoluzione della questione meridionale, il complesso industriale che abbiamo inaugurato non è certo un traguardo, né si propone di esserlo, anzi esso si pone come stimolo e centro di propulsione. Ma è certamente una tappa, e una tappa importante» continua Saragat. Non si tratta di un’opera concepita secondo criteri assistenzialistici, bensì produttivistici: «è precisamente di questo che il Mezzogiorno ha bisogno; è per questo sentiero che bisogna incamminarsi», conclude il Presidente. Precisa Franco Marrone sulla «Gazzetta»: «la sua capacità produttiva è di due milioni e 500 mila tonnellate di acciaio all’anno, che vengono quindi adoperate sul posto, nel laminatoio e nel tubificio». Non vi è alcun dubbio: l’impianto susciterà altro lavoro, produrrà ricchezza, benessere. Nel 1961 il reddito netto pro-capite era a Taranto di 218.465 lire; l’anno successivo era salito a 250.887, nel 1963 a 319.671, specifica il cronista.
È convinzione condivisa, in quel momento storico, che la presenza del Siderurgico sarà per Taranto un fattore di crescita esponenziale: agli occhi di tutti appare sicuro il futuro radioso della siderurgia italiana e di questa dimenticata città del Sud.
«Con la profonda trasformazione economica della zona e con le ampie prospettive di espansione che esso promette, ha già generato un modificarsi di mentalità, di modi di vedere, di comportamento a tutti i livelli della vita sociale e la realizzazione di una completa rete di infrastrutture farà il resto», continua Marrone. In una decina d’anni l’Italia diventerà in effetti il secondo produttore d’acciaio europeo. Ben presto, tuttavia, insorgeranno nel territorio tarantino imponenti squilibri sociali, dati da un precoce fenomeno di disoccupazione di ritorno dopo la fine dei lavori dell’impianto e dagli alti salari dell’Italsider che spiazzeranno il sistema economico locale. Troppo tardi, purtroppo, si prenderà coscienza dei tragici problemi ambientali e un punto di non ritorno sarà la privatizzazione dell’impianto negli anni Novanta. Nel 1965 regna, invece, ed appare ingenuo e amaro ai nostri occhi, un incauto ottimismo: «Per Taranto, dunque, sono cominciati tempi nuovi che varranno certamente a superare le difficoltà seguite alla crisi dell’Arsenale e dei cantieri, subito dopo la guerra. E non v’è dubbio che, un giorno si dirà: “Poi venne il Siderurgico…”. Un momento decisivo nella storia di Taranto e del Sud».