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Quel processo del 1891 contro la mala barese

 
Annabella de Robertis

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Annabella de Robertis

Il primo San Nicola sulle pagine del Corriere delle Puglie

Le udienze nell’attuale via Villari e la folla fino a piazza Massari: sul «Corriere delle Puglie» tutti i dettagli sui picciotti

Mercoledì 03 Aprile 2024, 15:21

«Il processo della mala vita»: il 4 aprile 1891, presso la 2° sezione del Tribunale Penale di Bari, ha inizio la prima grande causa contro una radicata e articolata associazione a delinquere operante in città, basata sul sistema della camorra napoletana. Il Corriere delle Puglie annuncia di aver stabilito «uno speciale servizio di reporters e redattori»: ogni giorno, effettivamente, fino alla fine del lungo dibattimento riporterà «minuti, fedeli, completi resoconti del processo». D’altro canto si tratta di un evento di grandissima importanza, di cui si occupa non solo la stampa italiana ma anche molti giornali esteri. «Ieri abbiamo avuto l’onore d’una visita in ufficio della signorina Wolffsohn, corrispondente del Daily News ch’è venuta a Bari per mandare all’importante giornale i resoconti di questo processo», si legge sul Corriere.

Le udienze hanno luogo in un vasto locale al vico II Madonna dell’Arco, l’attuale via Villari, dove ha sede la fabbrica di specchi dei fratelli Jannopulo. Alacremente gli operai hanno lavorato per adattare la sala ad accogliere, in due gabbie interamente chiuse con sbarre di ferro, i 179 imputati – il lungo elenco è puntualmente riportato dal quotidiano del 5 aprile – e i circa 900 testimoni. «Sin dalle prime ore del mattino una folla immensa invade l’ampia Piazza Massari e le adiacenze dell’Ospedale militare e dell’improvvisato Tribunale al Vico II Madonna dell’Arco. Uno strano apparato di forza viene spiegato: cordone militare, un nugolo di R. Carabinieri, insomma una grande teatralità. Il trasporto dei detenuti dal Castello, ove sono rinchiusi, viene fatto a gruppi di quaranta a cinquanta, di modo che la cosa fu lunghetta anziché no. Alle 10 precise entra il Tribunale, che è presieduto dal Cav. Domenico Mannacio e dai giudici Lacovara ed Attisani; Procuratore del Re il cav. Fino».

Il collegio difensivo è composto da illustri avvocati, tra cui Raffaele Bovio, Enrico Brescia, Michele Cifarelli, Vito Nicola De Tullio, Giacomo Di Cagno. «Stanno di fronte denunziati e denunzianti, contro dei quali la folla delle famiglie dei denunziati, durante il trasporto dal Castello alla sede dell’improvvisato Tribunale, scagliava insulti e contumelie. Abbiamo guardato quei visi, gli uni e gli altri: che disparità, che diversi atteggiamenti. Dagli attempati sino all’imberbe giovinetto, tutta la scala delle età, e tutta la gamma dei colori nei capelli e nel volto dal biondo al nero bruciato, dal terreo al rosso carneo, una curiosa mescolanza. E poi che fisionomie! qualcuna simpatica, tal altra truce; ma nella generalità gente che ha l’aria sfrontata del me ne impipo», commenta il cronista del Corriere il 5 aprile.

Tutti sono accusati, ai sensi dell’articolo 248 prima parte del Codice Penale, di associazione per delinquere contro le persone e le proprietà: Andrea Rinaldi, Francesco Saverio Ragone e Antonio Bellini sono accusati di esserne i capi da Sabino Coccolino, un confidente della Polizia, e da altri quattro uomini. Gli altri imputati sono ritenuti esserne promotori o membri a diverso titolo, ognuno di loro coinvolto nei più disparati reati – tra cui rapina, lesioni personali volontarie, minacce a mano armata e oltraggio a pubblico ufficiale – avvenuti tra il 1889 e il 1891. Tutti avrebbero contribuito a creare un’escalation di violenza e criminalità nella città di Bari, più volte denunciata anche sulle colonne dello stesso quotidiano. L’associazione, articolata nelle categorie di «camorristi», «picciotti» o «giovannotti», prevede una rigida organizzazione, fondata sull’adempimento di precisi doveri da parte dei soci.

Sul Corriere è riportata con minuziosi dettagli la procedura di affiliazione alla società: «Chi desiderava far parte della malavita, ne teneva parola a qualcuno degli affiliati, questi ne riferiva al capo, il quale dava incarico a qualcuno dei socii per assumere informazioni e vedere s’era degno o meno di farvi parte. Il gergo che si usava dall’incaricato era: “Potete dare la camicia pulita” significa è degno di entrare; al contrario si dice “La camicia è sporca e ci vuole molte sapone per lavarla”».

Molti affiliati si distinguono per la presenza di tatuaggi sul proprio corpo: una serpe che gira per tre volte attorno al braccio, un pesce, una spada, un’ancora, una stella, una catena, un bersagliere, una ballerina, una testa di brigante, il leone di San Marco sono tra i più diffusi. Quello che è, a tutti gli effetti, uno dei primi maxi processi alla mafia della storia del nostro Paese si concluderà il 23 maggio 1891 con una lunga serie di condanne che, tuttavia, con una sentenza della Corte d’Appello di Trani del novembre dello stesso anno, verranno in parte ribaltate o fortemente ridotte.

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