Il titolo in prima pagina su «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 9 agosto 1991 lascia sgomenti, a trentadue anni dall’arrivo della nave Vlora nel porto di Bari. Ma quanto accaduto nel capoluogo pugliese in quella torrida estate colse impreparati le autorità locali e ancor di più le istituzioni centrali: allo stesso tempo, però, si assistette ad una imponente mobilitazione di associazioni di volontariato e gente comune, che in uno sforzo collettivo aiutarono con generosità migliaia di persone in cerca di futuro. «Una visione del quasi apocalittico spettacolo offerto ieri dal porto di Bari all’inizio dello sbarco dei profughi della motonave “Vlora”. Un gran numero di fuggiaschi si è buttato in mare ed ha poi guadagnato la riva come meglio ha potuto», recita la didascalia della storica foto di Vittorio Arcieri, diventata simbolo, insieme a quelle di Luca Turi, del più grande sbarco di profughi mai avvenuto in Italia.
«Diecimila disperati. Diecimila persone in cerca di libertà, di un tozzo di pane, di una nuova vita, disposte ad ogni cosa, l’altra mattina hanno preso d’assalto nel porto albanese di Durazzo una motonave ed hanno tentato di realizzare il loro sogno: ottenere ospitalità nel nostro Paese. Hanno scelto Bari ma il loro sogno si è rivelato ben presto un nuovo incubo: da Roma è stato infatti negato il permesso di asilo ai profughi albanesi. Nella calca, a bordo, alla fine è stato recuperato anche un cadavere. Quella di ieri è stata una giornata densa di tensione per Bari. Al porto si sono susseguite scene ancor più drammatiche di quelle vissute il 7 marzo scorso nello scalo di Brindisi quando dai boat people sbarcarono oltre 20 mila profughi. Che si trattasse di un nuovo esodo biblico nelle proporzioni lo si è capito subito», scrive Liborio Lojacono sulla «Gazzetta». Alle 4 di notte dell’8 agosto 1991 da Brindisi è dato l’annuncio via radio che la “Vlora”, nave commerciale battente bandiera albanese di circa 9mila tonnellate, è diretta verso Bari. Allarme rosso in Capitaneria: da Roma arriva l’ordine di «fermare ad ogni costo la nave e di non farla entrare in porto». Inizia un fitto scambio di messaggi tra le autorità italiane e il comandante della motonave albanese, il quale non demorde, non inverte la rotta e implora: «Fateci entrare nel porto, per pietà. Non abbiamo medicine, non abbiamo niente. A bordo ci sono persone ferite, in gravi condizioni. Una bambina sta morendo». Intorno alle 11.15, il mercantile forza il blocco: «una nave la cui linea di galleggiamento coincideva con il pelo dell’acqua, stipata all’inverosimile; gente sull’orlo del collasso, aggrappata alle paratie, ai pennoni, stipata ovunque. Una umanità di disperati che alla vista della terra promessa hanno gridato “toca, toca” (terra, terra). Poiché l’ordine di attraccare non arrivava, prima uno, poi dieci, cento, e infine più di un migliaio di albanesi si sono tuffati in mare cercando di guadagnare la riva». Tutti vengono recuperati dalle motovedette delle forze dell’ordine e in tarda mattinata un rimorchiatore aggancia la Vlora, che così può attraccare. Dopo ore e ore di angosciosa navigazione, comincia la lunga attesa sotto il sole cocente di agosto, a temperature insostenibili, di migliaia di albanesi che sognavano l’Italia.
Dopo tre giorni la situazione esplode: sul quotidiano del 12 agosto 1991 appare la cronaca degli scontri violenti tra le forze dell’ordine e le migliaia di profughi non ancora adeguatamente accolti e assistiti, terrorizzati all’idea di essere rimpatriati. I disordini si sono verificati al porto e allo stadio della Vittoria, in cui è radunato il maggior numero di persone. L’arcivescovo di Bari Magrassi affida ai cronisti della «Gazzetta» il suo pensiero: «Si tratta di un dramma apocalittico. Forse si sarebbe potuto fare di più e meglio, ma nemmeno io saprei indicare in che modo». Il giorno dopo arriverà, per un veloce vertice, il presidente della Repubblica Cossiga, che si renderà protagonista di un infuocato contrasto con il sindaco di Bari Enrico Dalfino, reo di aver attaccato la scelta delle autorità centrali di ammassare i profughi albanesi nello stadio e nel porto. Al nostro Sindaco il capo dello Stato non risparmierà, come si legge in quei giorni sulla «Gazzetta», neanche la «poco presidenziale definizione di “cretino”».