In Puglia e Basilicata
ACCADDE OGGI
07 Maggio 2022
Annabella De Robertis
«Tra le annerite, antiche, screpolate case della città vecchia, quasi sorreggendosi a vicenda, confuse insieme, come agitate da uno strano ciclone, si alzano, nel cielo azzurro di maggio, i muri severi, antichi, austeri della chiesa di San Nicola». Così, il 7 maggio di cento anni fa, inizia il racconto della celebrazione della festa di San Nicola che allora, come oggi, catturava l’attenzione dei baresi e dei tanti forestieri presenti in città. «Intorno alla Chiesa gruppi di pellegrini attendono: conversano, guardano i muri severi e religiosi. Hanno gli sguardi smarriti. Su di un carretto, trainato da un ragazzino scalzo e scamiciato, è sdraiato su di un mucchio di cenci un individuo. Non ha le gambe, sul mucchio di cenci il corpo tarchiato, robusto, sembra una tragica offerta ad una divinità fantastica ed inesorabile».
È ancora interdetto, continua il racconto, l’ingresso in Basilica: si sta procedendo alla vestizione con i paramenti della statua di San Nicola. Gli abili cronisti del «Corriere» riescono, però, a introdursi nella Chiesa: sull’altare maggiore, sotto la cupola, in mezzo ad un gruppo di donne, si erge la statua del Santo, «dal cranio lucido, color di cioccolato chiaro, dalla barba brizzolata e dalla zazzera identica». Adesso tutti possono entrare. Ecco le devote baresi: «i loro capi sono stretti da fazzoletti neri, legati a pizzo, sotto il mento. E mormorano preghiere. Poi si inginocchiano, abbassano gli sguardi stanchi con compassione religiosa. L’una accanto all’altra. L’una identica all’altra, i volti rugati stranamente, quasi assenti».
Si distinguono da loro le pellegrine: «sembrano tutte identiche, tutte vestite in una medesima foggia: gonne pesanti, gonfie ai fianchi, fazzoletti annodati sotto il mento, corsetti colorati, volti stanchi, piccole donne quasi tutte munite di bastoni, ricavati dai rami di alberi, freschi ancora. Tutte rassomiglianti: sembrano venire da un medesimo posto, nate all’ombra di uno stesso campanile. Mormorano le medesime preghiere». Nella cripta, illuminata dalla luce rossastra dei ceri, che bruciano lentamente, un mormorio sommerso, lento. Una donna cade svenuta: ha il volto pallido, è scalza, ha i piedi pieni di fango. Un gruppo di pellegrine piange, si odono singulti, si chiedono grazie: «è tutto un tumulto arcano di desideri, di invocazioni di speranze e di tormenti. Non si respira. Si è avviluppati da quest’atmosfera, che dà le vertigini, che irrita, che sembra folle, fantastica, ma che è reale, terribilmente reale».
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