Il calcio non è una scienza esatta, non sempre vincono i migliori e spesso il pallone rimbalza in maniera imprevedibile. Non basta comprare 11 formidabili calciatori per avere la certezza di battere una squadra composta da 11 brocchi, e non perché si voglia fare indigestione di luoghi comuni ma perché la storia del calcio questo insegna. Certo, avere un team forte aiuta e il Bari quest’anno è stato aiutato perché poteva finire perfino peggio dell’anno scorso, con la serie A sfumata quando ormai sembrava un dato acquisito. Poteva essere serie C se la notte di Terni non avesse portato vittoria e salvezza, quando a crederci erano davvero in pochi, con i processi a proprietà, staff tecnico e squadra già istruiti da una tifoseria sedotta e abbandonata. Il pericolo scampato mai come in questo caso non equivale a cessato pericolo.
L’atto di fede compiuto dal sindaco Antonio Decaro con la consegna del Bari a una famiglia che una squadra ce l’aveva già, ha mostrato tutti i suoi limiti, soprattutto di prospettiva. Certo, detto col senno di poi e senza dimenticare che all’epoca il Bari ai baresi era solo uno slogan, oltre che un bel proposito, perché poi di baresi pronti a mettere mani al portafoglio per dare un futuro ai biancorossi non ce n’erano, oppure se c’erano, erano ben nascosti.
Salvata la serie B, con una prestazione che ha riscattato tante altre modeste e fatti ancora gli applausi al capitano Di Cesare che a 41 anni ha dimostrato di avere forze ed energie di un 20enne, va salvato il futuro. Futuro che, al netto delle imperfezioni tipiche del calcio, non può basarsi sull’attuale assetto proprietario: è una questione oggettiva prima ancora che soggettiva.
La famiglia De Laurentiis ha dimostrato di saperci fare con il pallone, riportando lo scudetto a Napoli e garantendo la sopravvivenza al Bari, facendo accarezzare ai tifosi biancorossi anche il sogno della serie A, che però avrebbe pure significato subito divorzio, a causa della normativa vigente. La stagione appena conclusa è stata invece, sia a Napoli che a Bari, semi-fallimentare dal punto di vista sportivo.
Detto, però, che a Napoli comunque venivano da un campionato vinto, quello che qui conta, e a noi importa, è il futuro del Bari. Per tifoseria pagante, bacino di riferimento e impianto, Bari non può essere la seconda squadra di nessuno. Non lo può essere perché le seconde squadre hanno un senso solo quando la seconda è completamente funzionale alla prima, ad esso collegata da un progetto sportivo.
Proprio il progetto sportivo è quello che sinora è mancato al Bari targato De Laurentiis. Un progetto sportivo autonomo, in grado di proiettare i biancorossi nella massima serie, con l’obiettivo di restarci. Non dimentichiamo che il Bari che vide sfumare la serie A all’ultimo secondo, sarebbe stato un Bari completamente da ricostruire, avendo pochissimi giocatori di proprietà.
C’è una alternativa alla attuale proprietà? È questa la domanda alla quale occorre al più presto dare una risposta, concreta e convincente. Siamo a conoscenza dell’esistenza di potenziali acquirenti così come della vendibilità del Bari. Il punto è far incontrare la domanda e l’offerta, senza che nessuna delle due parti faccia l’affare del secolo e anzi facendo in modo che un accordo serio e onesto costituisca la base di partenza per un piano capace di dare al Bari la dimensione europea che certamente merita.