Lunedì 10 Novembre 2025 | 09:22

Carlo Levi, il tempo e la storia

Carlo Levi, il tempo e la storia

 
fulvio colucci

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fulvio colucci

Carlo Levi, il tempo e la storia

La sua esperienza umana è irripetibile e la ricordiamo a cinquant’anni dalla morte

Lunedì 10 Novembre 2025, 08:00

Carlo Levi spacca la linea del tempo nel processo di conoscenza e percezione del Mezzogiorno d’Italia. Perciò la sua esperienza umana è irripetibile e la ricordiamo a cinquant’anni dalla morte. Come esiste un avanti Cristo e un dopo Cristo nella datazione storica, sussiste un avanti Cristo si è fermato a Eboli e un dopo Cristo si è fermato a Eboli nella storia delle pubblicazioni sul meridione. Il capolavoro dello scrittore torinese rimane la più lucida analisi del Sud mai realizzata «in presa diretta», avvalendosi della letteratura e del più potente fra i suoi strumenti: la memoria. Lucida, audace, pura: l’opera di Levi appare priva di mediazioni ideologiche benché la militanza del medico che si fece scrittore, poeta, pittore, fosse più che tangibile (aderì al Partito d’Azione e fu poi parlamentare indipendente nelle fila del partito comunista).  

Prima di Levi, l’evoluzione della pubblicistica sul Mezzogiorno aveva registrato – al di là di Verga e Pirandello - il trionfo dell’analisi positivista. A testimoniarlo le relazioni parlamentari tra ‘800 e ‘900: dal brigantaggio alle condizioni dei contadini. Poi era sopraggiunto lo sguardo ideologico: i saggi dei meridionalisti, da Guido Dorso a Gaetano Salvemini; fino alla suggestiva forma delle «lettere pugliesi», quelle scritte da Tommaso Fiore a Piero Gobetti e apparse sul giornale Rivoluzione liberale

Cristo si è fermato a Eboli  piomba sul corso della storia segnando uno spartiacque anche dal punto di vista sociale, politico, antropologico, urbanistico, artistico, persino economico. Direte, cari lettori di Icaro, che nel ragionamento, taglio fuori i contesti urbani meridionali, le grandi città – da Napoli a Bari a Palermo – all’epoca dei fatti e dell’esperienza di Levi (il confino nel biennio 1935-1936, la pubblicazione del libro è del 1945) già alle prese con la modernità (a Napoli funziona dai primi del ‘900 il centro siderurgico di Bagnoli). Ma la Lucania raccontata dallo scrittore torinese è solo apparentemente lontanissima dai centri metropolitani del Mezzogiorno. Sì, Cristo non ha varcato il confine, non ha raggiunto le terre negate «alla Storia e allo Stato» rispetto alle grandi realtà, ma c’è un minimo comune denominatore del Sud che solo Levi isola come un virus e che per sintesi desciriviamo con le parole della poesia Terra di Salvatore Quasimodo: «È dentro il male vostro che mi scava». Ecco il male della terra è il male del meridione a tutte le latitudini. Il meridione brutalmente colonizzato dai «piemontesi» che avrebbe bisogno di «conforto e dolcezza» e invece finisce nel gorgo di «uno sconsolato complesso di inferiorità». 

Tutto ciò seppe e seppe dire Carlo Levi con lo sguardo fanciullo rivolto a Sud, pieno di calanchi, profumi campestri, contadini pazienti e donne fiere e selvagge. Perciò il suo cammino «in cerca d’erba e spini tra le pietre», come recita un verso del 1953, resta il nostro cammino e non può, non deve arrestarsi se vogliamo dare un futuro alla memoria di quegli anni e dare un senso nuovo alla Storia del Mezzogiorno. Un senso non più tracciato dalla guerra, sintesi di ogni conflitto, di ogni male, come ricordava Levi nell’incipit del Cristo, riecheggiando i Promessi Sposi di Manzoni nel suo farsi libro capitale, non solo della letteratura, ma della coscienza civile del Paese.

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