Un poliziotto in servizio nella Questura di Bari sarebbe stato sottoposto a procedimento disciplinare e trasferito come «ritorsione» per aver denunciato presunti illeciti commessi da colleghi. Dopo anni di battaglie giudiziarie dinanzi ai Tribunali amministrativi, l’ispettore ha avuto ragione. Il Consiglio di Stato ha annullato le sanzioni e condannato il Ministero dell’Interno a pagare 5mila euro di spese.
La vicenda inizia nel 2018, quando il poliziotto si vede attribuire punteggi peggiorativi nell’annuale rapporto informativo sul giudizio relativo all’attività di servizio. Stessa cosa un anno. Ad agosto 2019 il poliziotto è addirittura destinatario della sanzione disciplinare del «richiamo orale» e a luglio 2023 ne viene disposto il trasferimento «per esigenze di servizio» dall’Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico-squadra sommozzatori al Commissariato Bari Nuova Carrassi.
Tutto questo è stato impugnato dinanzi al Tar. I giudici baresi un anno fa hanno parzialmente accolto il ricorso annullando la sola sanzione disciplinare del «richiamo orale», ma confermando la legittimità del trasferimento. Ora il Consiglio di Stato ha bocciato quella decisione, accogliendo pienamente l’appello del poliziotto, assistito dall’avvocato Pietro Ottolino, per la «natura ritorsiva degli atti impugnati» e ritenendo quindi sussistenti «le condizioni previste dalla legge per l’attivazione delle garanzie a tutela del cosiddetto whisterblowing» (la segnalazione di illeciti all’interno del proprio contesto lavorativo).
Il poliziotto, infatti, tra il 2018 e il 2019 aveva denunciato e segnalato all’Anac e alla Procura diversi episodi di illeciti, reati contro la pubblica amministrazione, associativi e contro il patrimonio, che sarebbero stati commessi da colleghi. Subito dopo, era la sua tesi (condivisa dai giudici), aveva ottenuto punteggi al ribasso, poi una sanzione e infine il trasferimento. «La tutela dei lavoratori del settore pubblico che segnalino illeciti è prevista da numerose fonti di diritto nazionale e internazionale» spiega il Consiglio di Stato. Dopo aver analizzato gli atti, i giudici ritengono quindi che «gli atti posti in essere dall’amministrazione appellata rientrano nella nozione di “ritorsione”, che fa riferimento al caso del lavoratore “sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi sulle condizioni di lavoro”».
Palazzo Spada aggiunge, peraltro, che «l’amministrazione non ha fornito alcun elemento utile a vincere tale presunzione e dimostrare che le misure adottate nei confronti dell’appellante fossero motivate da ragioni estranee alle segnalazioni e denunce». Al contrario, secondo i giudici «pare addirittura emergere la prova che l’avvenuta presentazione delle segnalazioni abbia costituito proprio il motivo principale» dei provvedimenti disciplinari, il rapporto informativo che aveva attribuito una valutazione peggiorativa e poi il trasferimento ad un altro ufficio.
Il legale parla di «decisione storica» perché «chi denuncia illeciti nella pubblica amministrazione ora ha una tutela più forte e concreta».
















