Un nome importante, da non confondere con un altro nome altrettanto importante, quello di Simone Veil; una pesante eredità - il soggiorno ad Auschwitz e Bobrek e la partecipazione alla “marcia della morte”imposta dalle SS nel gennaio del 1945 ad alcuni detenuti del campo; una possente sete di giustizia che si concretizzò nella sua carriera legale prima in qualità di Segretaria generale del Consiglio Superiore della Magistratura francese, poi ministro della Salute quindi primo Presidente donna del Parlamento europeo. La storia della vita di Simone Veil ha preso corpo in un film uscito in Francia nel 2022 ma in Italia solo nel gennaio 2025 che ha vinto 2 Cesar e in Italia al box office ha incassato 56 mila euro. Simone, le voyage du siècle è un film diretto da Olivier Dahan, fortemente voluto dall’attrice Elsa Zylberstein che interpreta Simone Veil ormai matura, mentre Simone ragazza e poi giovane madre è interpretata da Rebecca Marder. I ricordi della sua infanzia si intrecciano al ricordo della madre (una bravissima Elodie Bouchez), donna dolce e pacifica, molto materna e accogliente, morta proprio durante la marcia della morte del 45. Il passato si mescola al presente di Simone, ormai anziana, donna forte ed emancipata che ha scelto di affiancare alla famiglia - con tanto di marito e figli - una carriera fortemente voluta nel campo della magistratura e poi della politica nazionale francese. Antoine Veil - il marito (Mathieu Spinosi) - non ha sempre condiviso le scelte di sua moglie che inevitabilmente comportavano lunghe assenze dalla famiglia, tuttavia le è sempre rimasto al fianco a proteggerla e incoraggiarla nei momenti più cupi di una battaglia come attivista per i diritti civili delle donne e dei deboli della società. In particolare l’approvazione di una proposta di legge - che ancora porta il suo nome - per la depenalizzazione dell’aborto le causò molti dissensi dalla destra conservatrice e dagli ambienti cattolici per ovvie ragioni ma lei portò avanti la causa con piena cognizione delle enormi difficoltà di alcune ragazze madri e sole nell’affrontare la maternità, lei che di figli ne ebbe ben tre e che allevò tra mille difficoltà insieme al suo Antoine per la necessità di far progredire la sua carriera ma che non vide mai come degli ostacoli al conseguimento della realizzazione di sé stessa. La sofferenza lancinante della sua sindrome da stress post traumatico, fatta di attacchi di panico nel cuor della notte e della necessità di dormire a terra per l’impossibilità di stare in un letto, le conferisce la forza per lottare contro la disumanizzazione degli ultimi, i detenuti per esempio, sottoposti a condizioni di vita indegne di un essere umano; la memoria della deportazione gioca un ruolo fondamentale per la comprensione di questo meccanismo di transfert che fa sì che Simone si identifichi con i prigionieri e le loro sofferenze: in passato il carcere non corrispondeva affatto al luogo di detenzione “pulito” e dignitoso che abbiamo oggi, con la possibilità per i detenuti di seguire persino corsi di riabilitazione come laboratori teatrali (sebbene sul capitolo condizioni carcerarie italiane ci sarebbe ancora molto da dire e da fare). La percezione del detenuto era quella di un essere subumano colpevole e quindi degno di maltrattamenti e di depotenziamento della sua dignità. Anche i malati di AIDS attirarono la sua attenzione, a causa del tabù che circolava su queste persone messe in quarantena in ospedale ed evitate da tutti per il terrore del contagio. La sua lotta per i diritti civili degli esseri umani si estese anche al di fuori della Francia, in Algeria (che lottava in quegli anni per la sua indipendenza): le carceri algerine erano un sottoprodotto di quelle francesi e i trattamenti dei detenuti erano ancora più disumani e comprendevano persino la tortura. Simone visitò personalmente sia gli istituti di pena francesi che quelli algerini e promosse un miglioramento delle condizioni di vita carcerarie in nome della dignità dell’uomo. Simone così come è descritta nel film di Dahan soffre particolarmente nel percepire il desiderio di rimozione alla fine della guerra di quanto storicamente accaduto in Francia con il collaborazionismo: nessuno vuole ascoltare i suoi resoconti, tutti vogliono dimenticare gli orrori dell’occupazione nazifascista. Il giorno della memoria è ancora di là da venire, è ancora il tempo in cui nessuno vuole ricordare perché la ferita è troppo dolorosa. I sopravvissuti sono quindi abbandonati a se stessi, soli come sempre, in preda ai loro demoni da esorcizzare, fragili. La memoria degli orrori vissuti con la guerra induce Simone a proiettare i suoi sogni di pace sulla nascita di una coalizione di Stati europei – la futura UE – del cui Parlamento diventerà presto primo Presidente donna nel 1979.

Un film racconta le sue battaglie
Martedì 23 Settembre 2025, 17:22