Martedì 23 Settembre 2025 | 11:29

Nave «Garibaldi» addio, niente museo l’ex portaerei salpa per l’Indonesia

 
maristella massari

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maristella massari

Nave «Garibaldi» addio, niente museo l’ex portaerei salpa per l’Indonesia

Un cambio di comando che segna la fine di un’epoca per la nave dei record. Giacarta ha stanziato 450 milioni di dollari per l’acquisizione.

Martedì 23 Settembre 2025, 09:43

Un cambio di comando che segna la fine di un’epoca. Ieri sul ponte di volo dell’ex portaerei Garibaldi, il capitano di vascello Marco Guerriero, ha ceduto il testimone al capitano di fregata Tommaso Barone, tarantino. Toccherà a lui, come ultimo comandante, guidare la nave prima della cessione alla Marina dell’Indonesia nei prossimi mesi.

Un passaggio di consegne dal forte valore simbolico, in una città che da quarant’anni convive con questo colosso del mare ed ha costruito intorno ad esso un pezzo della propria identità marittima. Il Garibaldi è la nave dei primati: prima portaerei della flotta militare italiana, ultima unità navale a lasciare i cantieri di Monfalcone, prima ad attraccare nel Mar Grande di Taranto nel 1985, quando ancora non era stata completata la nuova Stazione navale. Varata il 4 giugno 1983 e consegnata alla Marina due anni più tardi, con i suoi 180 metri di lunghezza e 30 di larghezza al ponte, nel 2025 ha spento quaranta candeline. Per questa iconica signora del mare, ancora in perfetta forma, la storia è pronta a ripartire lontano da casa. Un distacco che per Taranto e per la Puglia sa di occasione mancata. Nonostante le proposte di istituzioni locali, associazioni e pezzi di società civile, il Garibaldi non diventerà il primo museo navale galleggiante d’Italia. Sarebbe stata un’attrazione culturale e turistica capace di rafforzare l’identità marittima della città dei due mari, ma la prospettiva è svanita di fronte a logiche economiche e geopolitiche che hanno poi portato all’accordo con l’Indonesia. E mentre Taranto resta con la malinconia di un sogno svanito, il Garibaldi si prepara a navigare nel cuore dell’Indo-Pacifico, in uno scenario geopolitico ben diverso da quello del Mare Nostrum.

Per quasi 30 anni, è stata nave ammiraglia, protagonista di missioni che hanno segnato la storia contemporanea: dall’embargo nei Balcani alle operazioni in Somalia, fino al supporto in Afghanistan e alle missioni di peacekeeping nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Con il suo motto, «Obbedisco», inciso sullo scafo, ha incarnato un’identità fatta di disciplina, sacrificio e dedizione. Il collocamento in riserva è arrivato il 1° gennaio 2025 a Taranto. Una decisione che ha aperto il dibattito sul suo futuro: tra memoria e diplomazia, tra sogno museale e cessione internazionale.

L’interesse di Giacarta è emerso già nel maggio 2024, quando l’ammiraglio Muhammad Ali, capo di Stato Maggiore della Marina indonesiana, salì a bordo della ex portaerei italiana. Pochi mesi dopo, in occasione della fiera «Indodefence», Fincantieri presentò un progetto innovativo: trasformare la nave in una piattaforma per droni aerei e navali. Un’idea capace di coniugare la solidità di una struttura collaudata con le esigenze di modernizzazione della Marina indonesiana.

Il piano ha poi trovato rapido sostegno politico ed economico. Alla fine di agosto, il ministero indonesiano della Pianificazione dello sviluppo ha approvato un budget con un tetto fino a 450 milioni di dollari per l’acquisizione dell’unità navale e la sua riconversione. L’accordo - ancora non definitivo e in fase di perfezionamento -, include non solo la vendita dello scafo, ma anche il pacchetto di ammodernamento tecnologico, il supporto logistico e l’addestramento degli equipaggi. Il Garibaldi diventerà così una «drone carrier», capace di imbarcare droni da combattimento di nuova generazione, rafforzando la capacità di proiezione marittima di un Paese che ambisce a passare da marina regionale a potenza navale globale.

Decisivo, in questa operazione, è stato il ruolo di Fincantieri. L’azienda ha agito come partner industriale e diplomatico, offrendo un pacchetto integrato che valorizza le competenze maturate in decenni di costruzioni navali. Già in precedenza, la collaborazione con l’Indonesia aveva dato frutti concreti, con la vendita di due Pattugliatori Polivalenti d’Altura della classe Thaon di Revel, oggi già operativi in quelle acque lontane.

La cessione dell’ex portaerei non è solo un’operazione commerciale: è un tassello della diplomazia della Difesa, capace di proiettare l’Italia come partner tecnologico e industriale in un’area strategica dove si giocano gli equilibri tra Stati Uniti, Cina e potenze emergenti. Con il Garibaldi, l’Indonesia compie un salto simbolico e operativo. Disporre di una portaerei, seppur riconvertita, significa proiettare deterrenza e prestigio, in un contesto regionale segnato dalla competizione navale tra le potenze del Pacifico.

Per l’Italia, l’operazione consente di rafforzare legami con un partner in crescita, consolidare il ruolo di Fincantieri e, al contempo, liberarsi di un asset ormai superato nelle proprie linee operative. Ma non senza un prezzo sul piano simbolico e identitario: la perdita di un pezzo di storia navale che, per quarant’anni, ha incarnato la proiezione marittima della nostra nazione.

Il Garibaldi lascerà l’Italia con un bagaglio di primati e di ricordi. Per migliaia di marinai, molti dei quali pugliesi, non è stata solo un luogo di lavoro, ma una casa, una comunità, una parte di vita. La sua cessione segna la fine di un ciclo, ma non la fine della sua storia. In Asia, sotto un’altra bandiera, continuerà a solcare i mari, testimone di un passato italiano che si proietta in un futuro globale. Per Taranto resta l’amarezza di non aver potuto (né saputo, va detto) trasformare questa nave in un simbolo identitario e in un attrattore culturale. Per l’Italia, l’orgoglio di consegnare al mondo una nave che, a distanza di decenni, resta ancora un riferimento tecnologico e operativo. Per l’Indonesia, infine, la possibilità di compiere un salto di qualità nella propria strategia navale. In fondo, è la parabola di una nave che, fedele al suo motto «Obbedisco», ha servito senza mai sottrarsi. Oggi obbedisce ancora: non più agli ordini della Marina Militare italiana, ma alle logiche di un mondo che cambia, alle necessità della diplomazia e ai disegni dell’economia globale. La sua bandiera cambia, ma la sua storia resta, sospesa tra la nostalgia di chi la guarderà salpare per sempre e l’ambizione di chi sarà su un molo lontano ad accoglierla.

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