Salvato dalla prescrizione nel processo penale, dovrà però risarcire la Regione Puglia di ben 136mila euro. È questa la somma complessiva di due sentenze emesse dalla Corte dei conti nei confronti dell’imprenditore tarantino Michelangelo Palmisano, coinvolto nell’inchiesta «Quote rosa 2» per aver ottenuto fondi pubblici fingendo l’assunzione di donne all’interno di una serie di imprese sostanzialmente a lui riconducibili.
I giudici contabili (presidente D’Addabbo, relatore De Corato) hanno infatti accolto integralmente le richieste formulate dal sostituito procuratore generale Daniele Giannini e, con due sentenze separate, hanno riconosciuto il danno creato alle casse regionali e condannato il tarantino (rimasto contumace e non assistitito dall'avvocato Marcello Ferramosca come erroneamente indicato in precedenza) alla restituzione.
Per l’accusa, insieme con una serie di altri indagati, Palmisano aveva creato una serie di società fantasma per ottenere i finanziamenti previsti dalle agevolazioni sull’occupazione femminile grazie ad assunzioni fittizie. Secondo i giudici non c’è dubbio che tutto questo abbia determinato «un danno alle casse regionali per effetto della illecita percezione di finanziamenti pubblici». Del resto, nel corso dell’inchiesta penale, lo stesso Palmisano ha confessato di aver realizzato un’operazione fraudolenta «finalizzata esclusivamente a percepire illecitamente contribuiti regionali, da utilizzare per finalità di natura privata, mediante la creazione ad hoc di soggetti amici (cosiddette “teste di legno”) dai quali si faceva, poi, consegnare il denaro incassato».
La vicenda, in realtà, è stata già oggetto di diverse sentenze emesse dalla Corte dei conti pugliese che è intervenuta su tutti i filoni nati dall’indagine condotta dalle Fiamme gialle del capoluogo ionico. Tra gli elementi raccolti dalla Procura contabile anche il lavoro svolto dagli Ispettori del lavoro di Taranto che nella loro indagine hanno evidenziato come Palmisano, amministratore di fatto e «dominus effettivo» delle imprese, aveva costituto alcune di queste società solo un mese prima di richiedere i fondi: «i rapporti di lavoro denunciati nei confronti delle persone assunte a tempo indeterminato - si legge nella sentenza - risultano fittizi ed instaurati al solo scopo di godere dei benefici previsti nel bando». A distanza di tempo dai fatti, quindi, la scure della magistratura contabile si è abbattuta sul responsabile che ora dovrà restituire il denaro alla Regione Puglia.















