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«Israele, mito della violenza»: la versione di Moni Ovadia

 
Milena Pistillo

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Milena Pistillo

«Israele, mito della violenza»: la versione di Moni Ovadia

Si definisce “ebreo antisionista” e dopo lo scoppio della guerra di Gaza nel 2023 ha accusato a più riprese Israele di etno-genocidio del popolo palestinese. Moni Ovadia è un ebreo atipico: «il Giorno della Memoria ha fallito»

Domenica 22 Giugno 2025, 20:26

Si definisce “ebreo antisionista” e dopo lo scoppio della guerra di Gaza nel 2023 ha accusato a più riprese Israele di etno-genocidio del popolo palestinese. Moni Ovadia è un ebreo atipico: «il Giorno della Memoria ha fallito».

Lei si definisce antisionista poiché a suo giudizio lo Stato di Israele non incarna affatto l’essenza dell’ebraismo. Cosa incarnerebbe dunque questo “re David impazzito?

«Israele è sinonimo di colonialismo, suprematismo, mito della violenza militare. Netanyahu non è una degenerazione del sionismo ma l’epitome di una sporca vicenda iniziata a partire da Ben Gurion, Golda Meir e i successivi leader. Quando il 29 novembre del 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò la risoluzione 181 intendeva creare due Stati distinti con pari diritti che tuttavia non sono mai stati tali per i palestinesi; i sionisti non hanno fissato precisi confini per perseguire nel tempo una politica di espansione a danno dei palestinesi, espulsi in modo violento dalla loro terra. Il loro slogan è sempre stato “Un popolo senza terra per una terra senza popolo”, alludendo allo sfratto forzato della componente palestinese. L’unico leader che si distinse per onestà morale fu Rabin che difatti fu assassinato (da un fanatico ebreo?)».

Ciò che sconvolge maggiormente è l’indifferenza degli Stati: l’Europa è paralizzata, non si muove, la sinistra italiana non dichiara in modo netto la sua dissociazione da queste logiche suprematiste. La moderazione in questi casi è una colpa?

 «Sì, moderati significa “ignavi” dunque incapaci di assumere una netta posizione pro Palestina. Aggiunga a questo una grande mistificazione di Israele: noi ebrei abbiamo subito la Shoah, perciò voi dovete sentirvi perennemente in colpa nei nostri confronti. Chiunque è contro di noi è antisemita, accusa intrinsecamente falsa poiché gli ebrei che hanno subito l’Olocausto erano quelli della diaspora e non gli israeliani. Ciò che stupisce è con quanta facilità le vittime si siano trasformate in aguzzini, vanificando il Giorno della memoria».

Nel docufilm presentato a Cannes “No other land” prodotto da un collettivo israelo-palestinese promosso da due giovanissimi ragazzi, Basel Adra e Yuval Abraham, uno palestinese l’altro ebreo, i riflettori sono puntati sul villaggio di Masafer Yatta in Cisgiordania dove militari e coloni israeliani sfrattano in modo violento e arbitrario gli abitanti del posto con ruspe e cariche esplosive, tutto filmato e comprovato. Lei lo ha visto?

«Certo. Una dimostrazione inoppugnabile di ciò che sta avvenendo sistematicamente contro i palestinesi con l’impunità garantita dall’Occidente e dagli USA. Una sorta di neocolonialismo poiché in fondo i sionisti incarnano i valori occidentali (nel senso deteriore del termine) del colonialismo e del suprematismo, certo non quelli della democrazia. Israele non è un Paese democratico».

Adesso con il coinvolgimento dell’Iran le cose si complicano ulteriormente. Quale futuro dunque per noi, per Israele, per la Palestina? Possiamo sperare in una de-escalation della guerra tramite la diplomazia?

«Chi può dirlo? Il rischio della deflagrazione di un conflitto in Medio Oriente e della sua espansione è palpabile, Trump cambia idea di continuo, lo scenario è aperto a colpi di scena, il gioco degli schieramenti non è ancora ben definito. La soluzione binazionale mi sembra una utopia, Netanyahu non verrà mai a patti. È un criminale di guerra».

Un’ultima domanda: cosa pensa dell’arte come forma di resistenza in guerra?

«L’arte assolve una funzione fondamentale, l’arte fissa per sempre la testimonianza rendendola visibile a tutti e immortale - come un memento perpetuo: pensi a un dipinto come Guernica di Pablo Picasso che ha fissato per sempre sulla tela il massacro di una cittadina basca durante la guerra civile spagnola che altrimenti sarebbe passato inosservato, nessuno lo avrebbe mai ricordato. O pensi a un film come Schindler’s list che ha contribuito più di tanti documentari iperrealistici a diffondere il concetto di Shoah tra la gente comune. L’arte rende straordinario un evento che rischia di restare ordinario, gli conferisce lo spessore di un tempo senza tempo. Così la poesia di Gaza e da Gaza, meravigliosa struggente poesia scritta sotto le bombe nemiche».

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