Il Saggiatore ripropone in stampa un grande classico del protofemminismo francese, Le deuxieme sexe di Simone de Beauvoir, con la traduzione di Roberto Cantini e Mario Andreose, nella collana La cultura, uscito il 7 novembre. La prima pubblicazione in Italia è avvenuta nel 1961 mentre come sappiamo la “Bibbia” del femminismo è stata pubblicata in Francia nel 1949. Mentre apriamo il testo contempliamo una vecchia foto in bianco e nero che ritrae Simone con Jean Paul Sartre: entrambi esistenzialisti, intellettuali, amanti ma mai conviventi o coniugati, in nome di quella libertà di autodeterminazione che entrambi professavano in un’epoca di valori borghesi imperanti. Nel suo saggio rivoluzionario (dati i tempi) de Beauvoir esplora la condizione femminile così come si è configurata nella storia umana ma prima ancora riproduce il punto di vista della scienza biologica, quello della psicoanalisi incarnato da Freud e Adler, infine quello del materialismo storico rappresentato da Engels. Il punto di partenza è la constatazione, avvalorata dalla biologia, di una presunta inferiorità fisica della donna rispetto al maschio cacciatore, sportivo, guerriero. Tale inferiorità è ricondotta dalla filosofa non tanto a una struttura anatomica quanto a concreti
“impedimenti” come il ciclo mensile e le gravidanze frequenti che rendono la donna “vulnerabile” rispetto all’altro sesso. Ma questo non basta a determinare la sua presunta inferiorità. Secoli e secoli di pregiudizi storici hanno configurato la visione della donna come “Altro” dal maschio e Altro inferiore; quello che all’uomo è consentito nella società per realizzare la propria potenza vitale è precluso alle donne, relegate nel Limbo della immanenza, prigioniere dei ginecei e degli harem o più semplicemente delle pareti domestiche. La trascendenza ovvero la possibilità di incidere sulla storia e sulla vita lasciando una impronta di sé o semplicemente costruendo la propria identità è una prerogativa degli uomini.
Sulla donna incombe da sempre una maledizione, fortemente voluta e avvalorata dal sistema patriarcale, esemplificata dalla citazione di Pitagora nell’esergo: «C’è un principio buono che ha creato l’ordine, la luce e l’uomo e un principio cattivo che ha creato il caos, le tenebre e la donna». Tutti conosciamo il mito di Pandora, la prima donna. Ma la misoginia non è solo della cultura greca; Simone si lancia in una ricostruzione storica e puntuale dei secoli che hanno visto le donne sempre sottomesse al maschio in quanto “secondo sesso”, propaggine dell’uomo, possibilità per il maschio di realizzare compiutamente la propria potenza procreativa, mentre le donne conservavano un ruolo “marginale” nella educazione dei figli e nell’accudimento. Tuttavia fanno capolino tra le sue pagine alcune donne che hanno fatto la differenza: Santa Teresa d’Avila, la mistica, Christine de Pizan autrice de La Citè des dames, Jeanne d’Arc la guerriera, le scrittrici inglesi che purtroppo non hanno potuto e saputo raggiungere le vette del pensiero a causa della loro educazione limitata, della impossibilità di viaggiare e studiare al pari degli uomini o semplicemente di avere «una stanza tutta per sé» come scrive Virginia Woolf a proposito di una ipotetica sorella di Shakespeare. Simone è tuttavia consapevole che queste donne rappresentano l’eccezione e non la regola; per la maggior parte del “secondo sesso” sono valse le regole sociali della costrizione, della inazione, della impossibilità di attingere alla trascendenza cioè alla costruzione consapevole della propria identità.
La conquista del diritto di voto non può bastare, è la conquista della indipendenza economica e - aggiungerei - psicologica a fare la differenza. Per questo Simone individua nella Rivoluzione industriale l’evento storico che ha dato origine alla emancipazione femminile; le donne iniziano a lavorare in fabbrica e possono avere un salario. Per quanto le loro condizioni in ambito lavorativo siano precarie le donne conquistano un ruolo “sociale”: possono produrre. Le operaie si staccano
parzialmente dall’accudimento domestico dei figli, si immettono in una dimensione “altra” rispetto alle loro antenate più sfortunate, hanno finalmente il riconoscimento del diritto al voto.
Da qui tutta una serie di conquiste che de Beauvoir considera ancora insufficienti a garantire l’emancipazione della donna. Ma ecco che l’innesco è partito; da qui in poi le donne possono avere voce in capitolo. La costruzione dell’identità individuale è presupposto necessario di ogni processo di autodeterminazione: per gli esistenzialisti l’esistenza precede “l’essenza”, la conquista finale. E così Simone può confermare una volta per tutte che «Donne non si nasce ma si diventa», in un
processo infinito di conquiste personali e sociali, in una mutazione antropologica che sta per accadere e che le fa dichiarare «la donna libera sta nascendo solo ora».
















