ROMA - E’ pronto a candidarsi alla guida del Pd come alternativa a Matteo Renzi. Ma ora proprio la militanza in quel partito, nel quale ricopre da una decina d’anni cariche dirigenziali, rischia di costare cara al governatore della Puglia Michele Emiliano. Perché, nonostante si sia affacciato alla politica nel 2004, con la prima elezione a sindaco di Bari. è ancora a tutti gli effetti un magistrato. E chi indossa la toga, anche se come lui è in aspettativa o fuori ruolo, non può essere iscritto né fare vita partitica attiva, almeno secondo la Procura generale della Cassazione che ha chiesto e ottenuto per lui un processo disciplinare.
Il giudizio si celebrerà a breve, il 6 febbraio prossimo davanti alla Sezione disciplinare del Csm. Come difensore del probabile competitor di Renzi, al momento è indicato un avvocato del Foro, il legale Aldo Loiodice, ma Emiliano ha fatto sapere stasera che, come avviene di solito, per l’udienza nominerà un collega magistrato. Il governatore comunque non sembra non avere timori: «non temo il giudizio del CSM al quale mi rimetto con fiducia», ha detto stasera ribadendo quanto già dichiarato ieri in una intervista a La7. «L'accusa non regge» perché fondata sull'idea sbagliata che ci siano due categorie di politici": i magistrati che devono far politica «da soli e gli altri che possono farla nei partiti». E a non convincere il governatore è anche la tempistica dell’iniziativa disciplinare, cominciata nel 2014 e culminata ora con la richiesta del giudizio a suo carico: "sono l’unico magistrato nella storia d’Italia,proprio in questi giorni e chissà perché, ad avere problemi di questo genere», ha osservato Emiliano.
La procura generale della Cassazione sembra invece non avere dubbi. Nell’atto di incolpazione ricorda che Emiliano durante i mandati prima di sindaco di Bari (dal 2004 al 2014), poi di assessore al Comune di San Severo e ancora oltre di presidente della Regione Puglia (dal giugno 2015 a ad oggi) ha ricoperto contemporaneamente gli incarichi di segretario e presidente del Pd della Puglia. Cariche dirigenziali che «presuppongono per statuto l’iscrizione al partito politico di riferimento». Proprio «iscrivendosi a un partito e svolgendovi attività partecipativa e direttiva in forma sistematica e continuativa», Emiliano «ha violato» la disposizione del decreto legislativo 109 del 2006 che prevede come illecito disciplinare questi comportamenti; norma che a sua a volta dà attuazione a una prescrizione della Costituzione, «posta a garanzia - sottolinea ancora la Procura generale della Cassazione - dell’esercizio indipendente e imparziale della funzione giudiziaria» e che vale anche per i magistrati «collocati fuori del ruolo organico».
LA NOTA COMPLETA DI EMILIANO - “Sono l’unico magistrato nella storia della Repubblica italiana eletto democraticamente dal popolo come Presidente della Regione, al quale la Procura generale della Cassazione contesta l’iscrizione ad un partito politico, nonostante non svolga le funzioni di magistrato da 13 anni causa l’espletamento di mandato elettorale. In questi 13 anni ho sempre fatto politica all’interno di formazioni politiche assimilabili a partiti politici, prima liste civiche e poi nel PD a partire dal 2007. L’ho fatto sin dall’inizio richiedendo l’aspettativa anche se la legge non mi obbligava a farlo. L’aspettativa infatti serviva a far cessare l’esercizio delle funzioni ed a rispettare il divieto di iscrizione ai partiti per i magistrati. Ho avuto per questo un blocco di carriera che avrei evitato se avessi scelto di rimanere in servizio come la legge mi consentiva. Secondo la teoria accusatoria dunque esisterebbero due tipi di politici in Italia. Quelli che una volta eletti dal popolo hanno il diritto di costruire la politica nazionale dentro i partiti ai sensi dell’art. 49 della Costituzione, che recita Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. E quelli, che possono sì essere eletti, ma devono rimanere da soli, senza la possibilità di fare politica in partiti o gruppi parlamentari di partito. Tra questi ultimi ci sono solo i magistrati. Che dovrebbero dunque farsi eleggere senza candidarsi in liste di partito o iscriversi a gruppi parlamentari. Che differenza infatti vi sarebbe tra una tessera di partito e la candidatura in un partito o l’iscrizione ad un gruppo parlamentare? Non temo dunque il giudizio del CSM al quale mi rimetto con fiducia".