TARANTO - Tutte le persone residenti a Taranto, quindi anche i pubblici ministeri che rappresentano l'accusa e i giudici che devono emettere sentenza sono da ritenere persone offese e danneggiate dai reati contestati perché respirano la stessa aria e vivono nello stesso ambiente: per questi motivi il processo deve essere celebrato altrove e trasferito a Potenza, competente a decidere per i magistrati del distretto della Corte d’Appello di Lecce. Lo ha ribadito l'avvocato Pasquale Annicchiarico, difensore di Nicola Riva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici nel processo per il presunto disastro ambientale causato dall’Ilva.
Il legale ha portato in aula anche una cartina appositamente preparata con una legenda che indica i luoghi di residenza delle parti civili ammesse, che lamentano un danno da esposizione, e di alcuni magistrati (tra questi i pubblici ministeri Pietro Argentino e Remo Epifani). Si evince che in alcuni casi abitano a poche decine di metri di distanza gli uni dagli altri. "Abitiamo tutti nella stesa nube» ha detto l’avvocato Annicchiarico rivolgendosi ai giudici. «Come si fa a celebrare qui questo processo? Potrete mai giudicare in una condizione simile con serenità, anche se in buona fede? Anche il pubblico ministero è dirimpettaio di una delle parti civili e persino un possibile giudice supplente. In questa città siamo tutti nelle stesse condizioni».
Tra i motivi indicati dall’avv. Pasquale Annicchiarico, difensore di Nicola Riva, Riva Fire e Riva Forni elettrici, per i quali il processo per il presunto disastro ambientale causato dall’Ilva andrebbe trasferito da Taranto a Potenza, c'è l’ammissione della costituzione di parte civile di Alberto Cassetta, un magistrato componente, in qualità di esperto, della Sezione agraria che ha esercitato le proprie funzioni nel Distretto della Corte d’Appello di Lecce.
Il legale dei Riva ha così sollevato eccezione di incompetenza funzionale in base all’art. 11 del Codice di procedura penale (che riguarda i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato) con conseguente trasferimento del procedimento alla Corte d’Assise di Potenza. Il legale ha poi citato la sentenza della Corte d’Appello di Torino, relativa al processo Eternit, in cui si stabilisce che il danno risarcibile «è dunque identificabile come il danno subito per effetto dell’avvenuta esposizione alle fibre di amianto da parte di tutti i soggetti, ammalati, sani, deceduti o in vita, con riferimento ai quali risulti provata l'avvenuta esposizione professionale od ambientale». In tale procedimento, ha sostenuto l’avv. Annicchiarico, «il risarcimento dei soggetti richiedenti il 'danno da esposizionè è stato ancorato direttamente alla prova della consumazione del delitto di disastro. Il processo Eternit, quindi, ha individuato - ha aggiunto il legale - un’ulteriore categoria di persone offese dal reato di disastro innominato: persona offesa dal reato ex articolo 434 codice penale non è solo lo Stato nelle sue accezioni ministeriali ma anche tutti quei soggetti che subiscono l’esposizione alle sostanze inquinanti».
Ha presentato eccezioni e si è associato alla richiesta di Annicchiarico anche l’avv. Giandomenico Caiazza, difensore di Girolamo Archinà, ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva. «Vi potete prendere la responsabilità - ha affermato il legale - di portare avanti un processo morto?». L’udienza è stata aggiornata al 26 ottobre.