ALBERTO SELVAGGI
Viviamo in un regno sconosciuto. Nel senso che non sappiamo di possederlo. È il regno dei cappelli, smerciati in mezzo mondo dalla Daunia al Salento, calati sulle tempie di uomini e di donne celebri.
Non c’è piacere maggiore che scialare denaro per questi orpelli del cervello. Assieme alle scarpe, che sono godurie, e agli occhiali da sole piegati alle fogge dell’estro.
I cappelli sono pròtesi dell’intelletto, estratti di fantasia, proiezioni infeltrite dei desideri. Custodi del principale congegno anatomico, chiavi di volta dell’armonia dello scheletro. Sono conformazioni del pensiero e delle credenze, parti lanuginosi immaginifici, estroflessioni della vanità, tessuti della nostra essenza. Sono impennate fibrose di ingegno, membrane sessuali curvilinee, valve di calore, pianeti avvolgenti di spazi cosmici multicolori, piramidi afflosciate o tese sulla mente, trionfi cromatici di volontà macchiaiole, impeti di dominio estetico, trionfi sulla plebe ingrigita, exultet dei drogati di bellezza, il fasto dell’ebbrezza venduto a prezzo medio.
Se sei un pugliese e hai il cranio coperto, puoi andare fiero, visto che i nostri marchi rappresentano il made in Italy al massimo grado nel rispetto di una tradizione di secoli. In Capitanata primeggia il cappellifico artigianale Marone, fondato nel 1881, tra le eccellenze pugliesi. Che, pur curando linee di sobrietà classica, rivaleggia in esuberanza creativa con il leggendario «chapelier» londinese delle star del rock e hollywoodiane, Anthony Peto.
Con quartier generale a Foggia in piazza Padre Pio e showroom a Firenze, la Ramar S.a.S. di Raffaele Marone, straordinario stilista, e Pasquale, il manager, nasce da un’esperienza di cinque generazioni risalente al 1805, quando il «mastro cappellaio Giuseppe Marone», a Laurenzana (Potenza), come da documento, per la sua attività chiese un finanziamento. Dalla Basilicata i Marone nei primi del Novecento scesero in Puglia, bottega in via Beato Giacomo a Bitetto, per sessant’anni, sotto nonno Raffaele. Per risalire a Foggia, con papà Rocco a reggere le redini assieme alle sorelle Carmela, Giuseppina e Rosaria, che inaugurarono le collezioni donna. Negli anni Novanta la Marone ha acquisito distribuzione europea. Dal 2005 lo sbarco in America e in Asia. Fino a toccare l’eminenza grigia di Papa Francesco con un cappello di paglia, detto «da prete». E il vuoto meningeo effervescente di Fiorello, che a Padova ha acquistato un berretto.
Se passeggiate in via Matteotti a Taranto incoccerete in un negozio cristallizzato: la Cappelleria Pisapia, era glaciale 1933, che aprì le attività in piazza Duomo nel 1889. Dal 1969, dietro lo stesso bancone, c’è il signor Rodolfo. E sulle vetrine le medesime scritte al cromo, «Società Cappellificio Cervo».
Putignano ha un piccolo berrettificio, Dalena, dal 1933. A Bari, su via Crispi, Bercat srl. Ma il capoluogo soprattutto non dimentica Elisabetta Iusco in De Liso (1915-1994), antesignana del fashion designer, la «Coco Chanel pugliese» titolare di Betta, primo negozio di modisteria, nelle cui vetrine ormai chiuse, via Dante 8, in centro, stavano sospesi i copricapo femminili che disegnava usando materiali realizzati su commissione a Milano e a Firenze. Lungo corso Vittorio Emanuele si distende l’insegna Gaudioso, la più nota e antica cappelleria cittadina. Che ha servito Eduardo De Filippo (coppola), Sandro Pertini (idem), Giulio Andreotti (il più raffinato borsalino, blu). Teatro di un frammento di storia della moda mai raccontata. Il berrettaio Domenico, bisnonno di Cecilia (la bionda) e di Elena (la bruna), attuali proprietarie anche del negozio gemello in via Putignani, aprì nel 1886 il primo esercizio, borgo antico, via Grande. Quando venne costruito il quartiere Murattiano, nel 1901 fu il primo ad aprire: e dal suo banchetto esterno, secondo leggenda del borgo antico, Charlie Chaplin, sbarcato a Bari da ragazzino, avrebbe rubato la prima bombetta ideando lo Charlot dei film. Seguirono nonno Nicola, più venditore che stilista. E il padre delle titolari, geniale omone Stefano. Che inventò e diffuse, ma senza brevettarlo, il modello Danese, venduto tutt’oggi da Gaudioso com’era. Ovvero il prototipo del cosiddetto «Jack Stewart», un must soprattutto nel nord Italia e europeo.
A Maglie c’è la Once, Portaruli Giuseppe & Figli, fondata nel 1965. Specializzata nella linea maschile, con rinnovata impronta giovanile, propone una varietà di cubani, di becco d’oca in lana, Shetland irlandese, a quattro fasce, sei spicchi, personalizzabili, marcia aggiunta dell’azienda. E nel medesimo fulcro del miglior distretto italiano emerge il fronte avanzato della produzione artigianale di tradizione salentina, ma veicolata da un dinamismo manageriale squisitamente settentrionale: la Doria 1905. Realtà internazionale emersa a tempo di record anche sotto il profilo dei media.
Fondata a Maglie dalla famiglia D’Oria nel 1905 con un piccolo laboratorio nel cuore cittadino, sotto lo stemma di Oria tutt’oggi utilizzato, si sviluppò negli anni Sessanta in stabilimento su tre livelli grazie alle capacità del patriarca Sabino. Rilevata dai Gallo e dai Monticone di Asti all’aurora del Duemila, Neo.B Lab spa, è stata rilanciata come Doria 1905 alla fine del 2012 su un progetto di espansione e di restyling oggi coronato da 3600 metri quadrati di uffici a Corigliano d’Otranto, dall’estate scorsa nuova sede. «Ma senza mai tradire l’appartenenza magliese», tengono a dirci i dirigenti, salentini acquisiti.
Coppole, trilby, cloche, berretti, caps, fedora, panama di gusto squisito sottoposti ai venti passaggi a mano tra sfumate di vapore, tagli in sbieco. E, nei pezzi da collezione, tramati dal labirintico «punto Maglie» («pupo, pupa, stella»), secondo la lavorazione estenuante sostenuta da ricamatrici come fu la moglie di don Sabino, e che oggi viene tutelata dalla Associazione Punto Maglie.
Oltre ai patchwork, tendenza sempre più diffusa nell’arcipelago, tutto si ispira allu Salentu: tinte di cieli tersi, nebbie oritane, verde ulivo, scoglio, tufo, oltremare. E soprattutto tonalità dellu mieru negroamaro, primitivo, malvasia.
Così la Sezione Stile, i 60 operai specializzati, il LAB dedicato alla prototipia, tra uno showroom a Maglie e uno a Milano, monomarca a Bologna, boutique a Roma, Lugano, Vicenza, corners, documentario di Vogue, fiere da Pitti e nuove sedi all’estero, attirano le teste nude delle stelle.
Al Bano, appassionato dei cappelli Doria 1905, cammina ormai con una protesi sul cranio, che sarebbe un Gran Panama della casa di Maglie. Lo indossa a Sanremo, a Mosca, come a Cellino San Marco quando vaga in fuoristrada per raccogliere scarti dalle discariche (è un grande) per farne ringhiere in legno levigate con i calli che tiene. Idem Giuliano Sangiorgi con la band dei Negroamaro, che passa da un cilindro a una bombetta, modulando falsetti sotto le falde in feltro del Toledo nero o bicolor negroamaro e cacao.
Nel pullulare dei modelli Otranto, Barocco, l’Alimini, Sabino, Grecale e i nuovi collezione primavera estate, alla sede di Corigliano, «clic», è arrivata via mail anche la foto di un tale in coppola Doria 1905 con barba e occhialetto: tale Stephen Spielberg, che dopo averla acquistata a New York l’ha indossata e s’è fatto immortalare. Lo hanno preceduto Serena Autieri, Alessandro Del Piero, il masterchef Cesare Marretti che ha firmato anche un copricapo tricolore con impronte di mani, Lola Ponce, Pauline Lefèvre, LL Cool J, attore e rapper, Amos Gitai, Adriano Giannini, Violante Placido, Fragola, i nostrani Alessandra Amoroso e Rocco Papaleo, nel film Onda su onda e ovunque sia. E siccome l’elenco è lungo la piantiamo qui questa storia cappellesca.
Noi, i signori del cappello

Sabato 02 Aprile 2016, 11:27