di Massimiliano Scagliarini
BARI - Si è dimesso dalla carica di direttore generale ed ha restituito 500mila euro, la metà esatta di ciò che la procura gli contesta di aver trattenuto per sé dai conti della clinica. Ma come in un gioco di scatole cinesi, più si va in fondo e più viene fuori. E le indagini su Francesco Ritella, il faccendiere nocese oggi a processo per l’accreditamento della Kentron di Putignano, non si sono ancora fermate.
Tutto è partito da lì, dalla Kentron e dalle autorizzazioni rilasciate dalla Regione. È scavando tra le carte della clinica che la Finanza ha dapprima scoperto un giro di riciclaggio da 25 milioni (per il quale ci sono 15 indagati), poi un sistematico svuotamento dei conti della società putignanese, a colpi di false transazioni con i dipendenti e di acquisti di orologi, gioielli e champagne di marca: per questo ad aprile è stato eseguito un sequestro da 8 milioni di euro, che ora grazie alle dimissioni di Ritella potrebbe essere ritirato.
Ma indagando per l’ipotesi di riciclaggio e bancarotta (l’ipotesi è che l’avventura nella sanità sia stata finanziata svuotato i conti di una società di carni, la Ilcam, fino a condurla sull’orlo del crac), i finanzieri hanno ascoltato per mesi una mezza dozzina di telefoni cellulari, comprese un paio di schede estere. E le sorprese non sono mancate.
Sul cellulare di Ritella, che per un periodo avrebbe utilizzato pure una sim svizzera, sono stati registrati contatti di alto livello. Il faccendiere nocese oggi vive a Roma, e fa la spola con Bruxelles dove - tramite un personaggio molto noto - avrebbe ottenuto un incarico di prestigio per conto di una società vicina a Finmeccanica. Attività di lobby nei corridoi del Parlamento europeo, alberghi di lusso prenotati con accorgimenti che sarebbero dovuti servire a non dare nell’occhio ma che non sono sfuggiti agli uomini delle fiamme gialle. E soprattutto, una rete di amicizie e di affari su cui sono in corso ulteriori approfondimenti.
Il fatto che intorno a Ritella ruotasse un sistema molto vicino alla politica, del resto, era già emerso nella prima indagine (quella sugli accreditamenti, oggi a processo ed a rischio di prescrizione). Tra i personaggi che la procura ritiene tra i fiancheggiatori di Ritella nel sistema del riciclaggio c’è un 57enne barese di cui l’indagine Kentron aveva già evidenziato i «rapporti strettissimi» con Roberto De Santis, imprenditore salentino. Le nuove intercettazioni, appena depositate, evidenziano che intorno all’uomo c’era una rete ben più ampia: non solo De Santis (che a lui si rivolge affinché prema su un istituto bancario nazionale per far ottenere un finanziamento a suo fratello Massimo), ma anche una mezza dozzina di parlamentari Pd e persino un ex assessore comunale barese che chiede aiuto per un’onorificenza a favore di un proprio congiunto.
Ritella, nel frattempo, ha mollato tutte le cariche operative in Kentron. E dunque la società che gestisce la clinica (con gli avvocati Michele Laforgia e Gianni Di Cagno) ha chiesto al gip il dissequestro degli 8 milioni congelati ad aprile ed affidati a un custode giudiziario proprio per «proteggerli» da altre eventuali spoliazioni: l’ospedale privato sta provando a girare pagina e vorrebbe evitare ripercussioni sull’operatività quotidiana. Il faccendiere nocese, che in questo troncone risponde (anche di appropriazione indebita) ha poi rimborsato alla Kentron 500mila euro rispetto al milione di cui - secondo l’accusa - si sarebbe indebitamente appropriato: «È quella - spiega il suo difensore, Mario Malcangi - la somma che lui ritiene di aver ottenuto come anticipazione da parte della società e che dunque ha restituito. Sul resto siamo pronti a un confronto nel merito».
Il fascicolo-bis (riciclaggio e bancarotta Ilcam) è in attesa della richiesta di rinvio a giudizio. Ma i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Bari ritengono di aver già accertato, tra l’altro, le complicità e le coperture di cui Ritella e i suoi sodali avrebbero goduto anche nel mondo bancario: il faccendiere aveva la «disponibilità» di uno sportello Mps (per questo è indagato il direttore di filiale dell’epoca), dove poteva cambiare in contanti decine di assegni. «Alcune volte - ha messo al verbale una delle cassiere - mi è capitato di aver fatto l’operazione di cambio ed di aver ricevuto disposizione dal direttore di portare il contante nel suo ufficio e di aver visto nell’occasione nella sua stanza Ritella».

Mercoledì 04 Giugno 2014, 11:00
21 Marzo 2025, 15:36