BARI - «Il ricorso all’impiantistica privata si presenta come obbligato» in una Regione, la Puglia, che in 15 anni non ha mai realizzato gli impianti pubblici previsti, e che ora «o sottostà all’aumento dei costi di trattamento e smaltimento dei rifiuti», oppure «non smaltisce i rifiuti prodotti dai Comuni pugliesi per la parte eccedente non conferibile negli impianti pubblici». Nonostante l’allarme che la Regione ha messo nero su bianco nel suo atto di appello, il Consiglio di Stato ieri non ha ritenuto di dover sospendere la sentenza con cui, a marzo, il Tar della Lombardia ha demolito il sistema disegnato dall’Arera, l’Autorità di regolazione delle tariffe: spetta allo Stato - avevano scritto i giudici amministrativi milanesi - fissare i criteri per stabilire quali sono gli impianti «minimi» indispensabili alla chiusura del ciclo dei rifiuti. Quelli che gli enti pubblici possono utilizzare a tariffe calmierate, inferiori al mercato.
I ricorrenti (la Regione, l'agenzia pugliese Ager e la stessa Arera) avevano chiesto la sospensiva, ma su invito del presidente della Seconda sezione hanno chiesto in udienza di abbinarne la discussione a quella sul merito del ricorso (ora fissata per il 7 novembre). Nel frattempo il problema si scarica sui Comuni e sui cittadini pugliesi, perché la mancanza di impianti pubblici (per responsabilità decennale della Regione) impone da sempre di utilizzare quelli privati. Però fino a marzo la delibera Arera (in base a cui Ager aveva potuto qualificarli come «minimi»), consentiva di usare discariche e termovalorizzatori privati a tariffa calmierata. Dal giorno successivo, come è loro diritto, i gestori hanno chiesto di applicare le tariffe stabilite dal mercato, che al Sud - dove gli impianti mancano - sono ovviamente più alte.
L’annullamento della delibera Arera è stato disposto su ricorso della Coop Nuova San Michele, gestore della discarica di Foggia (avvocati Ernesto Sticchi Damiani e Michele Vaira), cui si sono associati altri sei gestori tra cui Appia Energy (avvocati Luigi Quinto, Pietro Quinto e Vittorio Triggiani), De Cristofaro (avvocato Bice Pasqualone) e Tersan Puglia (avvocato Luigi Paccione), oltre che Confindustria Puglia. Secondo il Tar della Lombardia, l’Arera «ha attribuito, di fatto, alle Regioni poteri che il legislatore non ha», perché il ministero dell’Ambiente non ha mai fissato i criteri per stabilire come si scelgono gli impianti minimi. L'abbinamento al merito ha riguardato
E per quanto le conseguenze della sentenza siano nazionali, il problema è soprattutto pugliese proprio perché qui gli impianti pubblici previsti fin dal 2000 dai vari piani regionali non sono mai stati completati. «L’esito del contezioso promosso dai gestori - è scritto nel ricorso dell’Ager - ha determinato la necessità di conferire (...) presso l’unico impianto “pubblico” in concessione che, a seguito di tale rilevante aumento dei flussi, esaurirà certamente le volumetrie autorizzate già alla fine dell’anno 2023, rispetto al termine originariamente fissato al 31 dicembre 2026». Il riferimento è alla discarica pubblica di Deliceto, l’unica in esercizio nonostante siano pronte da anni (e non vengano aperte per motivi politici, legati alle proteste dei residenti) le discariche di Conversano e Corigliano d’Otranto. E così i rifiuti biostabilizzati finiscono nelle discariche private a costi fino a 150 euro a tonnellata: per i gestori l’effetto è neutro (perché quelle volumetrie vengono comunque vendute a clienti privati), per i cittadini è un salasso.
Secondo la Regione (avvocati Filippo Arena e Tiziana Colelli) la dichiarazione di impianto minimo non avrebbe «la finalità di colmare una situazione di gap impiantistico», come ha stabilito il Tar, ma di rispondere alla rigidità del mercato: e dunque la tariffa servirebbe a «promuovere la concorrenza nei contesti in cui difetta e tutelare l’utenza evitando che i pochi impianti esistenti dotati di potere di mercato applichino prezzi eccessivi». Per i gestori, invece, il meccanismo così disegnato è una sorta di requisizione dei loro impianti (proprio perché sono costretti a cedere a tariffa vincolata al pubblico tutti gli spazi che comunque riempirebbero con i loro clienti a tariffa piena). Il ministero dell’Ambiente, per il momento, non ha inteso aggiornare il Piano nazionale. A novembre si vedrà: se l’appello verrà respinto, i privati avranno anche diritto a chiedere le differenze di tariffa dal 2022. Sono decine di milioni di euro.