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Fulgor Molfetta, la partita finisce 22-0: un gol ogni 4 minuti

 
Gianluigi De Vito

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Gianluigi De Vito

Fulgor Molfetta, la partita finisce 22-0: un gol ogni 4 minuti

I quasi-calciatori della Fulgor Molfetta subiscono ventidue reti senza segnarne una.

Martedì 22 Ottobre 2019, 10:20

17:23

MOLFETTA - Spappolati da una ferocia punitiva che calpesta perfino il nome della squadra. Che pure, evoca imprese abbaglianti. I quasi-calciatori della Fulgor Molfetta subiscono ventidue reti senza segnarne una. In pratica, vengono schiaffeggiati da un gol ogni quattro minuti, più o meno. 

Il tempo di rimettere la palla sopra il dischetto di centrocampo e via col vortice frustrante dell’avversario che va in gol.

Succede spesso, lo tsunami, nel calcio di periferia, dove il rituale del campionato è più un tagliando contro la noia che una sfida sportiva da vincere a ogni costo. Sicché non è poi così clamoroso un punteggio roboante come quello di domenica scorsa nella Seconda categoria pugliese, rodeo a dimensione interprovinciale.

D’altra parte, nel libro nero del calcio minore la Fulgor spenta vi entra con un cumulo di pene: non solo si fa spernacchiare come fosse burro sotto la lama, ma non azzanna una vittoria dal 4 marzo del 2012, quando firmò, contro uno dei club della regina murgiana Altamura, un successo conquistato con sei gol. Da allora, la maledizione che ha spento la luce, tanto che il tragitto delle partite non è mai cambiato in sette anni.

Chiedersi se la Fulgor sia fatta di piedi di banana incapaci di arginare le ipotenuse e bloccare i cateti degli avversari, avrebbe poco senso. La squadra è strapazzata da una passione che non risiede nella prestazione. La famiglia Gagliardi, anima e cassa del club, spiega che i 17 «scapoli e ammogliati», convocati ogni domenica, sia pure per recitare la parte degli sconfitti, obbediscono al sacro ardore della tradizione. «Lo facciamo per non far morire una squadra che ha un passato», spiega ai quattro venti, Domenico Gagliardi, dirigente e giocatore del club, fratello dell’allenatore.

Toh. La memoria prima di tutto; l’ossessione della tradizione, più che la gelosia del modulo; la soddisfazione di una maglia anche senza la libidine dei triangoli e la lussuria delle sovrapposizioni.

E, allora, più che l’anima molle della Fulgor andrebbe processata la miscela di malizia con la quale gli avversari di turno fanno gol a raffica. Ma che gusto c’è, in un calcio prêt-à-porter che guarda alla luna piuttosto che al dito, imbottire ogni volta l’arrembaggio alla Sandokan?

D’accordo, nessuno può impedire il Gratta & (stra)Vinci, ma quelli sfarinamenti difensivi molfettesi vanno protetti come fossero beni dell’Umanità. Perché sono forse gli ultimi scampoli della mutazione antropologica che vuole tanti Rambo-Ronaldo individualisti, piuttosto che astigmatici Fantozzi comunitari, per i quali la domenica del pallone è pur sempre un rito da vivere assieme. E non sarà un gol un ogni quattro minuti a fare la classifica morta. Piuttosto, ucciderà di più lasciare i tacchetti nel borsone del ripostiglio d’ozio.

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