L’anniversario della strage di Capaci diventa anche l’occasione per una approfondita quanto amara riflessione sulla efficacia delle politiche antimafia. Per il procuratore della Repubblica di Bari Giuseppe Volpe, la direzione intrapresa dal legislatore non è affatto quella giusta. Prendiamo il divieto di celebrare processi con rito abbreviato per reati sanzionati con l’ergastolo come gli omicidi volontari premeditati, gli uxoricidi, eccetera, entrato in vigore con l’approvazione ad ampia maggioranza, primo proponente l’On.le Molteni (Lega). Il giudizio alternativo, ricordiamo, consente al giudice di decidere sulla base degli atti d’indagine acquisiti e prevede uno sconto di pena per l’imputato in caso di condanna.
Dal suo privilegiato osservatorio, Volpe, capo della direzione distrettuale antimafia, punta il dito sulle tante «conseguenze deleterie», scrive in una lettera, derivanti dalla «nuova legge sul contrasto e la repressione della mafie» definito «un intervento normativo del quale proprio non si sentiva il bisogno» e che «probabilmente soddisfa la pancia della popolazione, assetata di sanzioni “esemplari”, ma alle mafie finisce col rendere piuttosto un favore».
Di possibili ricadute negative aveva già parlato il Consiglio superiore della magistratura che aveva espresso perplessità. Lo scenario che si presenterà, questo il timore, sarà fatto di dibattimenti inflazionati, collaboratori di giustizia che potrebbero non ritenere più conveniente dire ciò che sanno, testimoni di giustizia più esposti, tempi della giustizia che inevitabilmente si allungano.
Il ragionamento di Volpe parte dai dati. «Nel 2017 in 28 procedimenti è stato da noi contestato il delitto di omicidio volontario (13 della Dda) e ben 33 sono gli imputati complessivamente rinviati a giudizio per delitti puniti con l’ergastolo o reati ad essi connessi. Ciò comporterebbe la necessità di istituire a «Bari e Foggia ulteriori sezioni di corte d’assise», anche in grado di appello. E tutto questo nonostante la carenza di organici nelle due sedi. Ma i nervi scoperti sono altri.
Prendiamo i collaboratori di giustizia, ben 160 attualmente quelli a Bari, «fondamentali nel contribuire alle indagini antimafia» e che adesso «non potranno più beneficiare della riduzione di pena per il rito allorquando dovranno confessare omicidi di mafia». Insomma, «c’è il rischio concreto di una drastica riduzione degli apporti collaborativi», considerando che a Bari il 100% di loro chiede l’abbreviato. Non solo. La celebrazione di pubblici dibattimenti «esporrà a gravi rischi i testimoni chiamati a deporre nei processi contro le mafie: aumenterà sensibilmente il numero delle intimidazioni e conseguenti ritrattazioni». E ancora: «la durata normalmente assai prolungata dei dibattimenti in assise determinerà» l’allungamento dei tempi, anche «calcolando i tempi necessari per i giudizi di appello e cassazione», con il conseguente aumento dei «rischi di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare dei detenuti». I pubblici ministeri, infine, impegnati in lunghissime udienze, avranno meno tempo a disposizione per coordinare le indagini. Ad aggravare il tutto, «l’intasamento degli uffici giudiziari».
«Continueremo comunque, come sempre, - conclude Volpe ricordando la tragica ricorrenza della strage di Capaci - nel rispetto delle leggi a perseguire l’obiettivo che Giovanni Falcone assunse a finalità della sua esistenza, sino al sacrificio estremo: il contrasto alle mafie, nella speranza che qualcuno, però, non remi contro, per insipienza o demagogia».