Erano gli anni Quaranta del secolo scorso. Oltre 70.000 bambini italiani, soprattutto del Sud Italia, salirono sui «treni della felicità», un'iniziativa solidaristica promossa dal Partito Comunista Italiano nel secondo dopoguerra: venivano accolti da famiglie più abbienti, ricevendo cibo, cure e un rifugio, trascorrendo mesi e anni lontani dalla povertà della loro terra d'origine. Una storia, questa, tornata alla ribalta con l'ultimo film di Cristina Comencini, «Il treno dei bambini», adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Viola Ardone. Ma prima del romanzo, c'è stato il lavoro di ricerca storica. Quello portato avanti da un pugliese, lo storico Giovanni Rinaldi.
«Ormai sono 22 anni che mando avanti il mio lavoro di ricerca sui treni della felicità. All'inizio, sono stati una scoperta casuale: a inizi anni 2000 di questo argomento non se ne parlava affatto, non c'erano inchieste o studi se non un volume del 1980, che tuttavia ebbe una circolazione minima, perché pubblicato da una casa editrice legata al Partito Comunista. Per noi - e dico noi perché questa ricerca partì con Alessandro Piva - fu come scoprire un pezzo di storia d'Italia, di cui i libri di storia non si erano mai occupati. Come se non fosse un argomento degno di interesse, e che pure ha coinvolto centinaia di migliaia di persone».
Giovanni Rinaldi, classe 1954, nato a Cerignola, è una delle figure culturalmente più attive della provincia di Foggia. Le sue ricerche hanno approfondito in particolare le storie dei braccianti pugliesi, ma anche figure come quella di Giuseppe Di Vittorio, il cui studio ha rappresentato la base per la fiction Rai Pane e libertà, dedicata al noto sindacalista.
La sua ricerca partì con i bambini di San Severo ospitati in Emilia Romagna, Marche e Toscana dopo una rivolta popolare negli anni Cinquanta, durante la quale i loro genitori erano stati arrestati. «Scoprimmo così questa miniera da scavare, con molta difficoltà. All'inizio partimmo con un paio di testimonianze, poi con il passaparola e il nostro enorme sforzo da freelance (non eravamo finanziati da nessuno), siamo arrivati a circa 15/20 storie». Ed è così che è nato il primo reportage narrativo, I treni della felicità (2009). Che è stato tradotto poi per immagini nel cortometraggio, girato da Alessandro Piva, dal titolo Pastanera, premiato al Festival di Venezia con una Menzione speciale dalla giuria del Premio Fedic e finalista al David di Donatello 2012.
«Con il tempo, poi, sono giunte altre testimonianze, e così, nel 2021, è uscito una sorta di sequel, C'ero anch'io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l'Italia (edito da Solferino), in cui ho ripreso le vecchie storie, aggiornandole, e ho riportato i nuovi racconti, raggiungendo così le 30 testimonianze». Storie, queste, raccontate da diversi punti di vista, sia quello dei bambini ospitati, sia quello delle famiglie accoglienti. E che oggi continua a raccogliere nel suo blog, visto che le voci di quella fetta di storia continuano a raggiungerlo.
«Quella dei treni della felicità è in un certo senso una storia universale, e soprattutto è stato terapeutico per i protagonisti. È stato un modo per loro per fare i conti con quella parte della propria vita, ma anche per rimettersi in contatto con le famiglie», racconta Rinaldi. «Quei bambini sono ormai anziani, e mi hanno chiesto, prima di morire, di poter rimettersi in contatto con quelle persone e dire loro grazie. Perché, dopo quelle esperienze, quei bambini tornavano a casa con una carica vitale in più».
«Mi piacerebbe, tuttavia, che venisse dato credito al lavoro di ricerca che è stato fatto prima del romanzo e del film» appunta lo storico, «sentir parlare di queste opere come se avessero scoperto per prima questa fetta di storia dà un po' fastidio, ma capisco che sia anche una questione di marketing. Queste opere esistono grazie al lavoro di ricerca, grazie al libro e grazie al lungometraggio realizzato con Piva».
















