FOGGIA - Dopo l'avviso di conclusione delle indagini sulla morte di Donato Monopoli, 25enne di Cerignola picchiato selvaggiamente in un locale di Foggia quasi due anni fa, i suoi genitori affidano ad una struggente lettera aperta, inviata alla Gazzetta, il loro dolore e la richiesta di giustizia. Ecco il testo integrale della missiva.
Siamo Giuseppe e Donata Monopoli, vi scriviamo da Cerignola, provincia di Foggia. Abbiamo 3 figli: Donato, Marco e Alessandro, ed è proprio di Donato il nostro primogenito che vogliamo raccontarvi.
Il 6 ottobre 2018 nostro figlio Donato di 26 anni, in compagnia di altri tre amici, si è recato nella vicina Foggia per trascorrere una serata in un locale chiamato "le stelle". Doveva essere una serata universitaria di divertimento e spensieratezza tra amici, ma si è trasformata in un incubo perché nostro figlio è stato brutalmente picchiato da altri ragazzi. Immediata è stata la corsa presso l'ospedale "Riuniti di Foggia", dove ci è stato comunicato il repentino trasferimento presso il nosocomio di San Giovanni Rotondo dove Donato ha subito due delicatissimi interventi alla testa.
Nostro figlio è rimasto in terapia intensiva, legato a dei tubi per sette lunghissimi mesi, durante i quali abbiamo vissuto momenti infernali dovuti ai suoi costanti cambiamenti e peggioramenti di salute, accompagnati da altri vitali interventi. 7 lunghi mesi ad aspettare e sperare in un miracolo, ma purtroppo è arrivato quel maledetto 8 maggio 2019, giorno in cui Donato ha deciso che era stanco di lottare per la propria vita.
Abbiamo provato a racchiudere in pochissime righe quello che è capitato a nostro figlio, ma il vero motivo che ci ha spinto a raccontarvi la nostra storia è un altro: la GIUSTIZIA che non abbiamo ancora ottenuto. Facciamo un passo indietro: la sera della discoteca, sono stati individuati due ragazzi foggiani che, quella sera stessa, sono stati rintracciati mentre erano tornati comodamente presso le loro abitazioni nonostante quello che poco prima avevano fatto a Donato. Questi 2 individui sono stati accusati di aggressione e costretti agli arresti domiciliari per 6 mesi, al termine dei quali sono stati messi in libertà con il solo obbligo di firma presso le forze dell'ordine. Dopo la scomparsa di Donato su Facebook è stata creata una pagina dal nome Giustizia per Donato, ma la verità che ad oggi giustizia non è stata fatta per nostro figlio, noi come genitori abbiamo dato priorità ad altro e ci siamo aggrappati alla speranza che in Italia la Giustizia ci sia davvero e che, prima o poi, Donato possa riposare in pace, ma ad oggi abbiamo realizzato che probabilmente il troppo tempo che sta trascorrendo è tempo perso e che, mentre noi piangiamo ogni giorno per la morte ingiusta e insensata di nostro figlio, c'è chi continua a vivere tranquillamente la propria vita senza alcun problema.
Ne avremmo tante, troppe cose da dirvi perché in questi infiniti 17 mesi in cui la nostra vita è drasticamente cambiata, di cose ne sono successe troppe.
Adesso ci sentiamo soli nel combattere questa battaglia che, al momento ci sembra sia stata dimenticata dalla legge, dal tempo e dalla stessa giustizia che tanto gridiamo e nella quale, nonostante tutto, ancora crediamo e speriamo di ricevere presto, e speriamo che Donato abbia la possibilità di avere l'unica cosa che ormai possiamo offrirgli: LA GIUSTIZIA.
Quello che vi chiediamo è di condividere il più possibile la nostra storia perché Donato deve ricevere giustizia e non deve essere dimenticato!
La procura di Foggia contesta l'omicidio ai due 26enni che furono individuati dai carabinieri poco dopo il fatto. Il fatto, lo ricordiamo, avvenne la notte del 6 ottobre del 2018. Le condizioni del giovane apparvero subito gravi: Donato morì a maggio, dopo 7 mesi di agonia in ospedale. La comunicazione di chiusura delle indagini, generalmente, anticipa il rinvio a giudizio. Per i due presunti responsabili si profila l'accusa di omicidio preterintenzionale, aggravato dai futili motivi.
A quasi un anno di distanza arriva dunque la svolta che potrebbe aprire al processo. Prima e dopo i funerali del 25enne a più riprese l’intera città ha chiesto giustizia per Donato.
In queste tre udienze siamo stati ad ascoltare tutto e tutti, abbiamo subito sguardi...
Non abbiamo potuto parlare, per far sentire la nostra voce...
In questi mesi avete parlato di nostro figlio riferendosi a lui come "la vittima", "il corpo", "il cadavere", "il malcapitato", "il cerignolano" ma oggi vogliamo parlarvi solo di Donato del figlio, del ragazzo, dell'uomo che era che poteva essere e che non sarà più. Donato è il nostro primogenito, quando è nato per noi è stata una gioia immensa e non potevamo chiedere di più. Lo abbiamo accompagnato sempre dai primi passi, ai primi calci al pallone fino agli ultimi mesi in terapia intensiva.
A Donato piaceva stare tra la gente, si dava tanto da fare, lavorava tanto e non ci nascondiamo nel dire che era il figlio che tutti volevano e non per merito nostro. Nel nostro piccolo abbiamo cercato di dargli una sana disciplina educazione, gli abbiamo insegnato il rispetto degli altri e delle regole, la propensione al lavoro, l'amore verso la famiglia e verso gli altri, per il resto ci riteniamo genitori fortunati perché tutto questo l'ha appreso e lo ha fatto diventare l'uomo che era.
Quella tragica sera, Donato voleva solo divertirsi con i suoi amici, lavorava tanto e ogni tanto si concedeva queste uscite. Tante cose non ci sono chiare e saranno il nostro tarlo per tutta la vita ma noi purtroppo non c'eravamo. Sappiamo solo che quando abbiamo ricevuto quella chiamata la nostra vita è cambiata.
Dire che sembrava un film, un incubo da cui però non ci siamo potuti svegliare è poco. Non riusciamo a capire la rabbia e la motivazione che possa aver portato ad un simile massacro, non capiamo come si possa ridurre una persona in quello stato e continuare a vivere la propria vita. Sulla nostra strada abbiamo trovato degli angeli, i medici e gli infermieri che si prendevano cura del nostro Donato non solo del paziente. Da genitori abbiamo sempre sperato ed ogni giorno in più era un miracolo.
Donato, l'uomo, nostro figlio, ha subito degli interventi le cui percentuali di sopravvivenza lo davano per spacciato ma lui, il nostro Leone, le ha ribaltate e vederlo rientrare nella sua stanza era ogni volta motivo di vita. Sette mesi di lotta immobile e silenziosa, sette mesi fianco a fianco, mano nella mano, sette mesi in cui lo accarezzavamo, curavamo la sua igiene, gli stringevamo le mani durante le diverse crisi, gli asciugavamo il sudore durante uno spasmo muscolare, gli spalmavamo la crema per idratare la pelle ormai disidratata , gli facevamo ascoltare il suo cantante preferito e la cronistoria della tua mitica squadra del cuore.
Abbiamo abbandonato tutto ma chi non lo avrebbe fatto al nostro posto? Ci siamo ritrovati a vivere momenti di alta disperazione, di forte dolore, perché la RIANIMAZIONE è questo, PAURA, ANGOSCIA e SOFFERENZA continua.
Poi quel giorno, l' otto maggio, lo avevamo appena lasciato. Eravamo pronti a partire per dargli altre possibilità ma abbiamo ricevuto un'altra chiamata, quella fatale. La corsa in ospedale, le preghiere "dacci il tempo di arrivare". E così è stato, fino alle 2:15 quando Donato, il nostro bambino era stanco di lottare ed è andato via per sempre. Ci siamo ritrovati noi quattro, abbracciati al suo corpo e abbiamo giurato che avremmo fatto di tutto per dargli la giustizia che tanto merita e non vendetta…
Donato aveva tanti progetti che sono svaniti insieme a lui. Non possiamo accettare che si usano termini del tipo “semplice scazzottata”, “quattro bernoccoli” perché nostro figlio è morto, anche se non riusciamo a dire questa frase a voce alta. Sappiamo che nessuna condanna ce lo riporterà indietro e che gli avvocati devono fare il loro lavoro ma il rispetto della vita umana, pensiamo che sia il principio che debba regolare ogni legge e le parole che vengono utilizzate hanno il loro peso. Donato non è la vittima, il cadavere, il corpo, il malcapitato, il cerignolano. È Donato ed è stato UCCISO!!!
Ti abbiamo amato e ti ameremo fino all’ultimo respiro,
da mamma, papà, Marco e Alessandro