A quei pochi imprenditori che ancora ci provano a cercare manodopera attraverso l’intermediazione dei Centri per l’impiego, non sembra vero di dover bussare a un ufficio perennemente con la porta chiusa e che reca all’ingresso un numero di telefono a cui rivolgersi «al quale però non risponde mai nessuno». È un altro effetto (nefasto) del Covid, la pandemia che oltre a rappresentare un pericolo costante per la nostra salute, ha mandato già in tilt il sistema di relazioni tra le persone e quello che una volta si diceva «contatto con il pubblico». Tutto finito, oggi si riesce a malapena a dialogare attraverso mail e preferibilmente con posta certificata. Gli anziani o chi non padroneggia i sistemi telematici (la metà della popolazione foggiana) rischiano di trovarsi fuori da questo mondo, ma è un aspetto che meriterebbe un altro approfondimento.
Qui stiamo parlando di un Centro per l’impiego, quello in via San Severo nella fattispecie, che nonostante si sia isolato dal mondo pubblica all’esterno un numero di telefono muto, perchè quello di un’impiegata da qualche tempo in ferie. Com’è possibile? «In realtà i numeri sono due - risponde il direttore del centro impiego di Foggia, Giuseppe Ferrarelli - c’è anche il mio numero diretto dell’ufficio (0881-706344: ndr) al quale rispondo sempre, l’ho fatto anche quando sono andato in ferie io. Gli uffici sono aperti, ma non per il pubblico. Lavoriamo su prenotazione, sull’ordinaria amministrazione e sulle pratiche online: basta solo che gli utenti per dialogare con la Pubblica amministrazione esibiscano un documento valido di riconoscimento (cpi.foggia@regione.puglia.it)».
Uffici di via San Severo dunque aperti, ma con personale ridotto all’osso: c’è chi ha scelto di lavorare da casa e chi invece è dovuto andare in pensione. Ieri nella palazzina a due piani del Cti foggiano erano al loro posto appena due persone, il direttore e un’impiegata. Sono rimasti in tutto sei impiegati in organico, gli altri quattro lavorano da casa o sono in ferie e non metteranno piede in ufficio fino a quando la Regione non assegnerà ai centri impiego i vigilantes che regolamentino il flusso delle persone all’ingresso, previo controllo della temperatura. È stata una coincidenza, ma il Covid è stato il colpo di maglio su questi uffici e su quel che resta del Cti foggiano: «Avevamo dieci formatori prima del lockdown - ricorda il dirigente che coordina anche gli altri sei centri impiego in provincia - ne sono rimasti appena due in servizio, dei quali un altro andrà in pensione il prossimo ottobre».
Dei tanto decantati Navigator, nove quelli assegnati alla sede di Foggia, si sono perse le tracce perchè essenzialmente il loro lavoro consiste nel contatto con il pubblico e se pubblico non ce n’è cosa fanno lì? Oltretutto i Navigator non dipendono dai Cti, sono un corpo a sè stante. Sembra ormai chiaro l’indirizzo politico di rendere sempre più scatole vuote questi uffici, a vantaggio di un sistema che però deve ancora decollare. Così gli imprenditori che ancora credono nel vecchio collocamento, nelle liste d’iscrizione (peraltro obbligatorie per chi vuol entrare nel mercato del lavoro), rischiano di restare al palo. Come denunciato alla Gazzetta da un papà che voleva iscrivere il figlio diciassettenne, facendolo poi transitare attraverso un’agenzia di lavoro interinale. «Non ci sono ancora riuscito. Ma senza quel foglio di carta, hanno risposto al mio ragazzo, non si va da nessuna parte». Quando la burocrazia riesce a essere anche una trappola.