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San Severo, agguato al boss: la tesi difensiva dei fratelli De Filippo

 
Redazione online

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San severo, agguato al boss: la tesi difensiva dei fratelli De Filippo

Sono detenuti in carcere da 11 mesi e rispondono di concorso in un duplice tentato omicidio aggravato

Venerdì 22 Maggio 2020, 10:37

SAN SEVERO -  L’avvocato Luigi Marinelli chiede il processo abbreviato condizionato all’interrogatorio del proprio consulente balistico nell’inchiesta sui fratelli sanseveresi Luigi Nazario e Michele Valentino De Filippo , di 26 e 29 anni. Furono arrestati il 6 giugno 2019, sono detenuti in carcere e rispondono di concorso in un duplice tentato omicidio aggravato dalla mafiosità, avvenuto il 4 marzo 2019. Non fu denunciato alle forze dell’ordine che ne vennero a conoscenza da intercettazioni disposte nelle indagini avviate dopo l’omicidio di Luigi Russi, alias «Coccione», il cinquantanovenne sanseverese ritenuto elemento di spicco nel mondo della droga, assassinato in un salone da barba il 24 novembre 2018: killer e mandanti sono ancora ignoti.

I fratelli De Filippo si dicono innocenti, anche se si avvalsero della facoltà di non rispondere alle domande del gip dopo l’arresto. L’avv. Marinelli, attraverso una propria consulenza balistica depositata al vaglio di Dda e gip, sostiene che non ci fu alcun tentato omicidio, ma tutt’al più un colpo di fucile esploso verso l’alto. Secondo l’accusa, invece, fu Luigi De Filippo a sparare un colpo di fucile da un’auto in corsa condotta da un terzo complice contro una «Golf» su cui viaggiavano due coniugi sanseveresi, rimasti illesi: Adriano Marchitto e Anna Ciro Gualano. L’esplosione della fucilata avvenne di sera all’incrocio tra via Napoli e via Andria.

Ma il vero obiettivo dell’agguato - dicono Dda e poliziotti - doveva essere Severino Testa , 60 anni, ritenuto al vertice del clan mafioso La Piccirella-Testa e arrestato nel blitz antidroga e antimafia «Ares» del giugno 2019 contrassegnato dall’emissione di 50 ordinanze cautelari. Chi sparò - prosegue la ricostruzione accusatoria - era quindi convinto che che sulla «Golf» guidata da Marchitto ci fosse Testa, e che il concittadino lo stesse riaccompagnando a casa. Se Luigi De Filippo è ritenuto colui che fece materialmente fuoco, il fratello maggiore Michele avrebbe pedinato Marchitto e Testa, vedendoli partire in auto da un ristorante poco prima dell’agguato fallito. Ai due fratelli, che si dicono innocenti, la Dda contesta l’aggravante della mafiosità per i metodi utilizzati.

La Dda ha chiesto il rinvio a giudizio dei due fratelli: l’udienza preliminare davanti al gup di Bari si è divisa. Stralciata la posizione di Michele De Filippo, che aveva chiesto nelle scorse settimane d’essere interrogato dal pm: il gup ha annullato il decreto di fissazione dell’udienza preliminare e rimandato gli atti alla Dda perché proceda all’interrogatorio fissato per i prossimi giorni, e quindi rinnovi la richiesta di rinvio a giudizio. Verosimilmente ci sarà il tempo per riunire il procedimento a carico di Michele De Filippo a quello nei confronti del fratello Luigi, visto che per quest’ultimo l’udienza preliminare è stata rinviata al 3 luglio: di fronte alla richiesta difensiva di processo abbreviato condizionato all’interrogatorio del proprio consulente balistico, il pm ha chiesto termini a difesa per controbattere.

L’avv. Luigi Marinelli, difensore dei due fratelli, sostiene che ammesso e non concesso che gli imputati siano coinvolti nell’episodio contestato dalla Dda, non si trattò comunque di un tentato omicidio. Il consulente difensivo balistico dopo aver valutato la ricostruzione dell’accusa - Luigi De Filippo a bordo di una «Alfa Romeo Giulietta» guidata da un terzo complice bloccò la «Golf» con i coniugi Marchitto-Gualano ed esplose una fucilata contro la «Golf», senza colpire marito e moglie - ipotizza che il colpo di fucile non fu esploso in direzione di marito e moglie ma verso l’alto. Perché? Perché la borra (parte della cartuccia) rinvenuta dalla «polizia scientifica» era situata in un punto più vicino all’auto da cui fu esplosa la fucilata che alla vettura su cui viaggiavano i coniugi. La posizione della borra - argomenta l’avv. Marinelli - dimostrerebbe quindi che chi sparò lo fece verso l’alto e non in direzione dell’auto dei coniugi, per cui non ci sarebbe stato alcun intento di uccidere.

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