Per poche monete e un cellulare ha deciso di spendere quel permesso premio, concesso pare per un solo giorno, accoltellando alla gola per rapina un anziano di 79 anni nel parcheggio di un ospedale. Se l’è giocate in questo modo quelle ore di libertà Antonio Cianci, che aveva 20 anni quaranta anni fa quando uccise a bruciapelo tre carabinieri della stazione di Melzo, nel Milanese, che l’avevano fermato per un controllo. Oggi, ergastolano di 60 anni è stato bloccato di nuovo dalla polizia per quell'aggressione sfociata in un tentato omicidio, con la vittima che fortunatamente, da quanto si è saputo, non è in pericolo di vita.
Il 79enne è stato ferito alla gola da Cianci nel tardo pomeriggio mentre si trovava nel parcheggio sotterraneo dell’ospedale San Raffaele di Milano, al piano 'meno 1', vicino a delle macchinette del caffè. Stando a quanto ricostruito dagli agenti, Cianci lo avrebbe avvicinato per chiedergli dei soldi e al rifiuto dell’anziano, lui l’avrebbe colpito alla gola con un taglierino, portando via pochi soldi e il telefonino dell’uomo. E poi è scappato ed è stato fermato dagli agenti vicino alla stazione della metropolitana di Cascina Gobba. Aveva ancora il taglierino sporco di sangue con sé e anche i pantaloni insanguinati.
Cianci, originario di Cerignola (Foggia) e che le cronache dell’epoca descrivevano come un giovane dal passato difficile e un «patito di armi», aveva 20 anni quando, nella notte tra l’8 e il 9 ottobre del '79, uccise i tre carabinieri che lo avevano fermato ad un posto di blocco tra Liscate e Melzo, nel Milanese, a bordo di un’auto che risultava rubata. Mentre i militari controllavano i suoi documenti quella notte, scoprendo, tra l'altro, che a 15 anni aveva già ucciso un metronotte a Segrate (venne assolto per incapacità mentale e fece 3 anni di riformatorio), il giovane fece fuoco con una pistola automatica. E uccise il maresciallo Michele Campagnuolo, l’appuntato Pietro Lia e il carabiniere Federico Tempini.
Quando venne arrestato, Cianci non confessò e disse, anzi, che a sparare ai militari della stazione di Melzo erano stati alcuni sconosciuti a bordo di un’auto. Al processo di primo grado venne condannato all’ergastolo, confermato in appello nel 1983. Processo quest’ultimo in cui finalmente, però, con una lettera ai giudici confessò la strage e la condanna venne confermata, poi, anche in Cassazione. Ora era detenuto a Bollate e, da quanto si è saputo, aveva ottenuto un permesso premio di un giorno. La sua vittima di oggi è ricoverata al San Raffaele, è grave ma non in pericolo di vita.
FIGLIA DI UNA VITTIMA: UN ESSERE IGNOBILE - Aveva 6 anni Daniela Lia quando nel 1979 suo padre, l’appuntato Pietro Lia, venne «massacrato senza pietà» a 51 anni, assieme ad altri due carabinieri, mentre stava facendo il suo lavoro, un servizio di controllo su una strada statale vicino Melzo, nel Milanese. Antonio Cianci gli sparò addosso 5 colpi, «ma mio padre si rialzò cinque volte, lottò finché poté contro di lui, alla fine aveva le unghie rotte». Non è bastato un ergastolo per «quell'essere ignobile», dice ora all’ANSA la donna, ma gli è stato «permesso» di creare «altro dolore» in un’altra famiglia, «di calpestare e oltraggiare ancora la memoria del mio papà e dei suoi colleghi Michele Campagnuolo e Federico Tempini».
Ieri, infatti, l’ergastolano Cianci, ormai 60 anni e che già a 15 anni aveva ucciso un metronotte, ha tentato di uccidere un anziano per rapina, usufruendo di un permesso premio: una vicenda sulla quale il ministro della Giustizia Bonafede ha già disposto accertamenti preliminari. «Quando ieri molto delicatamente due carabinieri mi hanno dato conto di questa notizia - racconta Daniela Lia - sono rimasta sconvolta dal fatto che si sia permesso a questo essere ignobile, che massacrava senza pietà, di mettere un’altra famiglia in condizioni di dolore, calpestando e oltraggiando, tra l’altro, ancora la memoria di mio padre e dei suoi colleghi».
Chiarisce subito di avere «molto rispetto per lo Stato», di essere «molto grata all’Arma per tutto l’affetto che ha dimostrato per la nostra famiglia in questi anni». Aggiunge, però, facendo riferimento al permesso premio concesso dai giudici, che «non si doveva permettere a quest’essere di andare ancora in giro a creare dolore». E racconta ancora che sua madre «non si riprese mai dalla morte di mio padre, fu lacerata per sempre dal dolore, ebbe un ictus e morì tre anni fa».