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Agroalimentare, la Capitanata «si vende» in Europa e negli Usa: export cresce del 16%

 
Massimo Levantaci

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Massimo Levantaci

Agroalimentare, la Capitanata «si vende» in Europa e negli Usa: export cresce del 16%

Aumento delle esportazioni: anche il resto della Puglia migliora, ma la performance di Foggia stupisce

Sabato 03 Agosto 2019, 08:59

La Capitanata si conferma il traino dell’export agroalimentare pugliese e, in valori assoluti, lo zoccolo duro dell’interscambio commerciale con l’estero: su oltre 8 miliardi di valore esportato, frutta e verdura valgono in soldoni circa 900 milioni di euro e, quando parliamo di frutta e verdura, non si può non tener conto di come l’epicentro di queste produzioni (specie per la verdura) sia il Tavoliere con una forte concentrazione nell’area di Cerignola. La crescita pari al 26,9% (il dato scorporato è del 16% in Capitanata) nel primo trimestre di prodotti della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi, dice l’Istat, conferma «la grande dinamicità del settore - commenta Coldiretti Puglia - nonostante il gap della logistica che la Puglia e l’Italia scontano rispetto ad altri Paesi».

Ma dietro questi numeri c’è anche una crescita culturale di tante piccole aziende di nicchia che negli ultimi dieci anni si sono fatte largo sui mercati, proponendo autentiche novità per i consumatori che hanno scoperto il “Puglia style” declamato in tutto il mondo anche da queste piccole e innovative realtà. Lo ricorda il presidente di Coldiretti Foggia, Giuseppe De Filippo: «Siamo il distretto dei 15mila ettari di pomodoro da industria, primo bacino produttivo del Sud; dei 15mila ettari di ortaggi, dei 25mila ettari di vigneti e dei 6-7mila ettari di asparagi. E poi ci sono i prodotti di nicchia, una vera rivoluzione culturale che nasce dalla sofferenza: a furia di non veder riconosciuto il valore aggiunto sulle quantità in molti è scattata la molla». A Foggia le grandi imprese del trasformato si chiamano Farris a Giardinetto, Prima Bio di Giovanni Terrenzio. La stessa Futuragri di De Filippo: tutte lavorano ormai prevalentemente con l’estero. E poi ci sono i colossi Iposea, Masiello, Cannone tutti di Cerignola, Fiordelisi a Stornarella, marchi affermati sui mercati internazionali. «Abbiamo un tessuto imprenditoriale dinamico e incisivo - aggiunge il presidente della Coldiretti - se fosse un tantino più tutelato non ci sarebbero confronti con la prosperosa e operosa Emilia Romagna. Purtroppo la microcriminalità è sempre dietro l’angolo, molti imprenditori non investono nel timore di essere individuabili».

Uno scenario in movimento cui guarda con crescente interesse anche l’università: sempre più neolaureati del dipartimento di Agraria trovano collocazione in aziende del territorio. «È più facile trovar lavoro in questa provincia per un agronomo o un tecnico alimentare che non altrove», condivide De Filippo. «C’è ancora un potenziale enorme e inespresso sul quale incidono anche le aziende più rilevanti, da Princes a Barilla: la dimostrazione - segnala Fabio Porreca presidente della Camera di commercio - che il futuro della nostra provincia passa in buona parte dallo sviluppo manifatturiero e dall’agroalimentare. La necessità di attrarre nuovi investimenti ritengo sia la priorità di un territorio così ricco di materia prima - aggiunge Porreca - l’area industriale di Foggia Incoronata ha tutto per diventare l’epicentro di questo sviluppo: è vicina alla materia prima, vanta margini di vantaggio notevoli sulla logistica rispetto ad altre zone grazie alla vicinanza del casello autostradale e alla presenza della Lotras. A mio avviso manca in loco una grande azienda di surgelazione - aggiunge il presidente della camera di commercio - ci sono tutti i presupposti per aprirla, c’è bisogno insomma di creare nuovi presupposti partendo dalle cose che sappiamo fare meglio e l’agroalimentare certamente lo è. Sono questi gli strumenti che andrebbero discussi anche nel Cis, il contratto istituzionale di sviluppo del governo. D’accordo sul ruolo e l’importanza delle aziende di nicchia - conclude Porreca - ma l’agroalimentare che fa muovere i numeri dell’export è fatto soprattutto di grandi aziende e noi su quelle dobbiamo investire».

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