Autonomia differenziata, ancora tu, ma non dovevano vederci più? Prendiamola sul faceto, citando Lucio Battisti, perché a prenderla sul serio si farebbe cattivo sangue. I sindaci italiani contestano la manovra di bilancio del Governo Meloni. Troppi tagli, grosse criticità che mettono a rischio i servizi essenziali per i cittadini: trasporti, asili, assistenza. L’Anci ha chiesto un incontro al ministro Giorgetti per mettere in risalto tante priorità lasciate fuori dal provvedimento, tra le quali la casa e la sicurezza. Questo sul piano generale, ma visto che non smette mai di piovere sul bagnato, il nostro Antonio Decaro, già sindaco dei sindaci alla testa proprio dell'Anci, rincara le critiche e aggiunge ai problemi la madre di tutte le preoccupazioni per il Mezzogiorno: il testo della finanziaria sembra un ritorno all’autonomia differenziata.
Il candidato presidente alle Regionali in Puglia, mette sotto accusa la previsione che vuole i livelli delle prestazioni assicurati localmente con le sole risorse disponibili, perché non vengono previste nuove risorse. Sembra una condanna a fare i conti con la spesa storica e niente di più. Ogni Comune riceverà nel 2026 le risorse assegnate quest’anno, senza l’ombra di una misura equa di perequazione.
«Vuol dire che non riusciremo a coprire il divario tra Nord e Sud», ha detto Decaro, forte e chiaro. Gli si è affiancato il sindaco di Bari in carica, Vito Leccese, che ha fatto espresso riferimento alla parte relativa ai livelli essenziali delle prestazioni (Lep). In una dichiarazione, ha denunciato che le misure previste nello schema del disegno di legge di bilancio «rischiano di compromettere la tenuta dei territori, soprattutto nei settori che più di altri incidono sulla qualità dei servizi pubblici, già oggi erogati tra notevoli difficoltà». È qui che rientra in gioco la famigerata Autonomia differenziata: la sentenza della Corte Costituzionale che ha tacciato d’incostituzionalità la legge made in Carroccio, imponendole il «vade retro», ha nettamente chiarito che prima di rimettere eventualmente - e per noi meridionali malauguratamente - mano alla legge Calderoli, occorre determinare le prestazioni, riequilibrare le differenze territoriali Nord-Centro-Sud ed anche finanziarli. Mica poco! E quelli lassù, invece, ignorano un ostacolo che dovrebbe essere invalicabile e tornano a giocare con la riforma più sciagurata e divisiva d’ogni tempo, l’attuazione mascherata del federalismo bossiano, una moderna secessione 4.0.
In pratica, sui Lep chi ha le risorse potrà permettersi di postarle, gli altri si arrangino, rinuncino, peggio per loro. È evidente che non solo non c’è nessun impegno del Governo nazionale contro le difficoltà del Mezzogiorno, ma la Lega, forte del ruolo del ministro delle finanze e con o senza il consenso di Forza Italia, spinge sui tre articoli della discordia, che in manovra danno praticamente il via libera all'autonomia differenziata.
Fatto sta che se Lombardia, Veneto e pochissime altre Regioni troveranno nelle proprie casse i fondi necessari - e li troveranno! - potranno pure chiedere a Roma di fare da sole. Invece, una Regione senza «i soldi» non potrà che dipendere dallo Stato, aspettando e sperando che si decida a riconoscere le risorse. Sarà troppo tardi, se e quando una perequazione arriverà, ma non arriverà finché sarà in piedi un Governo a trazione leghista in materia di regionalismo.
Niente e nessuno rimuoverà i divari che fino ad oggi hanno ostacolato il Sud e rallentato la crescita dei territori meridionali, com’è accaduto per decenni. Tutto questo in contrasto con la sentenza della Consulta che a novembre 2024, non nel 1800, ha demolito punto per punto l’autonomia differenziata, com’è stata costruita da Calderoli. La si butti nel cestino una volta per tutte e si metta mano, tutti - Governo, Parlamento, Regioni, parlamentari europei, Istituzioni, forze sociali - ad un non più rinviabile piano straordinario per l'Italia e il Mezzogiorno.
I tempi però non lasciano sperare. L’esecutivo Meloni sta tagliando su tutto, anche e dolorosamente sulla sanità. Il centrodestra vuole far scendere il deficit ai minimi storici, per far dire che sono «degli ottimi governanti», ma in effetti stanno praticamente cancellando gli impegni e non prendono nessuna iniziativa sui ritardi del Sud.
La presa di posizione «meridionalista» di Decaro fa il paio con quella di qualche giorno fa sull’Ilva di Taranto. Aveva detto una cosa sacrosanta: l’Ilva è dell’Italia e quindi è lo Stato che deve farsene carico, fino a quando non si affaccia un solido acquirente privato. Non si tratta rinazionalizzare formalmente e sostanzialmente, quanto di assumere la responsabilità e l’onere della decarbonizzazione, per assicurare un futuro al grande stabilimento ionico e ai suoi ingenti livelli occupazionali. Bisogna non solo risanare e già è un bel peso, c’è anche da convertire la produzione alle fonti energetiche sostenibili. A quel «prezzo» è ovvio che nessun gruppo industriale internazionale avrebbe interesse a venire con gli euro o i dollari in mano. Chi arriva da fuori vuole fare l’affare, detto volgarmente, non accetterà mai di accollarsi il risanamento, oneroso, economicamente controproducente e solo dopo poter avviare la produzione e la vendita dell’acciaio. Dove starebbe il business?
Serve un grande progetto per restituire a Taranto un territorio e un’aria che da sessanta, settant’anni subiscono veleni, piangono tantissime morti non solo tra gli operai, compreso l’indotto, anche tra i cittadini. E i bambini. Alla bonifica non possono che concorrere capitali statali, non c’è un’altra soluzione, altrimenti l’Ilva sarà destinata a chiudere. E si badi il suo futuro riguarda Taranto, la Puglia e pure il sistema imprenditoriale nazionale e l’Italia intera. Dal modo in cui sapremo affrontare questa sfida si misurerà la serietà del nostro Paese.



 
						 
									 
																	 
																	 
																	 
																	 
																	 
																	 
																	 
																	 
																	













