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Ciao Pippo, ma siete sicuri che il «Baudismo» si sia davvero estinto?

Ciao Pippo, ma siete sicuri che il «Baudismo» si sia davvero estinto?

 
Enrica Simonetti

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Enrica Simonetti

Ciao Pippo, ma siete sicuri che il «Baudismo» si sia davvero estinto?

Non è che Pippo Baudo c’è sempre stato e ci sarà sempre? Era un Amadeus senza lustrini? Una Antonella Clerici senza pentole?

Lunedì 18 Agosto 2025, 14:00

Smisuratamente lungo, forse atipico in un’Italia novecentesca che era ancora piuttosto tracagnotta: braccia, gambe, persino orecchie allungate per il Baudo nazionale, che nella nostra infanzia appariva quasi il Pippo di Topolino, ma con più prontezza, più stile, quelle caratteristiche che hanno fatto di lui un’icona pop, un autentico popular symbol ante litteram.

E fin qui tutti d’accordo: lunghissima carriera, militanza televisiva onnipresente, un totale di personaggi scoperti, di talenti, di gag, di programmi e di idee che pochi altri possono vantare. Pacatezza, centralismo, quelle certezze che Mamma Rai sapeva di poter avere senza alcun rischio e che lui ha potuto garantire con naturalezza, visto che Baudo era come lo vedevamo, come ce lo immaginavamo da casa.

Un eroe nazionalpopolare, capace di lanciare o di rilanciare voci di ogni tipo: da Orietta Berti alla Pausini, da Al Bano a Baglioni, da Benigni a Beppe Grillo, persino dandosi da fare quando quest’ultimo disse la fatidica battuta sui socialisti italiani e i cinesi, «Ma allora, se son tutti socialisti, a chi rubano?», frase che nell’era della Rai-Psi-post-Dc, diventò uno scandalo. In quella occasione, il Pippo-bravo presentatore ma anche uomo di senso, intuendo il successo che Grillo avrebbe fatto fruttare, riuscì a convincere i vertici Rai ad evitare l’espulsione. Perché lui, uomo del Sud, siciliano ma anche romano, pacifico e liturgico, univa un’Italia piena di differenze, di colti e di analfabeti, di giovani e di nonni che alla fine lo guardavano e lo seguivano, pur a volte dicendo che «c’è sempre lui», ma alla fine considerandolo un piccolo grande mito, una realtà ineluttabile. Baudo ha meritato il suo successo, è stato trasversale come serviva e come serve ancora.

In queste ore di ricordi, video e ondate di meme sui social, ci sono molte parole ricorrenti, molti concetti che si ripetono con una buona dose di nostalgia e di quell’amarcord che rappresenta giustamente la celebrazione del confine tra la vita e la morte dei personaggi noti (e per fortuna pure dei comuni mortali!). Colpisce che molti si siano soffermati sulla Tv di un tempo, aggiungendo quello sconsolato «Tv che non c’è più», capace di caratterizzare molte delle nostre espressioni vane, un po’ come la fine della mezza stagione.

Ma siamo sicuri che davvero sia tutto cambiato? Non è che Pippo Baudo c’è sempre stato e ci sarà sempre? Era un Amadeus senza lustrini? Una Antonella Clerici senza pentole? Una Milly Carlucci senza tacco? Si potrebbero fare mille altri esempi, anche dopo che i transfughi ex Rai sono passati alle altre reti, perché in fondo lo stile onnipresente della Tv, quella che Karl Popper definiva «cattiva maestra», è e resta quello. I tempi cambiano, esplode la violenza anche nei programmi del pomeriggio Rai, ma poi, ecco un volto rassicurante, ecco Isoardi, Matano e i mille altri di cui ascoltiamo parole e parole. Quasi un tutto cambia perché nulla cambia, che nemmeno lo strapotere di internet e dell’intelligenza artificiale non spostano. Forse, i pericoli che il filosofo Popper vedeva nella televisione «cattiva maestra», pericolo - diceva - per la democrazia e per il senso comune, si è spostato lì, nel web, nella migliore delle occasioni del nostro progresso che purtroppo si sfrantuma di fronte all’idiozia dilagante e all’utilità che non tutti riusciamo a cogliere.

Le lunghe scarpe lucide di Pippo Baudo hanno camminato sin qui. In un’intervista recente, dichiarò che non capiva le nuove canzoni di Sanremo, però disse pure che le ascoltava, che seguiva tutto. E quel non perdersi è stato il segreto di un novantenne vissuto davanti ad ogni evoluzione delle dirette, delle telecamere, degli studi televisivi, senza mai fermarsi di fronte a realtà rinnovate, buone o cattive che siano state. Settevoci (1966-70), Canzonissima (1972-73), Domenica in (1979-85, 1991-92), Fantastico (1984-86 e 1990), Serata d'onore (1983, 1986), vari Festival di Sanremo sin dal lontano 1968… il solo leggere quanti programmi abbia presentato Super-Pippo e quanti di questi siano ancora praticamente ed esattamente com’erano, è la prova di quel che diceva Eraclito: il tempo è un gioco. Forse, pure il «baudismo», termine registrato nel 1986 dalla Treccani, è un gioco. E non finisce mai.

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