«Non fare mai del bene se non sei preparato all’ingratitudine». Chissà quante volte queste parole di Enzo Ferrari sono risuonate nella mente di Michele Emiliano, quasi fossero un balsamo per lenire le ferite provocate dalla pervicace determinazione a «metterlo da parte» di uno tra i suoi più fidati collaboratori.
Le elezioni regionali in Puglia, più che un passaggio di consegne, sembrano essere diventate un duello, quasi un oltraggio alla politica. La partita si annuncia, paradossalmente, tutta interna al centrosinistra. Non una sfida aperta tra visioni alternative, ma una resa dei conti domestica, combattuta più nelle stanze della comunicazione e nelle trappole mediatiche che nei luoghi della politica vera.
Più che una successione, ciò a cui stiamo assistendo è una palese sconfessione di Antonio Decaro nei confronti di Michele Emiliano. Una rottura netta, senza margini per il politically correct, dove la dialettica istituzionale ha lasciato il posto a un’aggressione mediatica frontale.
I guru della comunicazione politica hanno ormai codificato la regola: funziona la strategia dell’assalto iconoclasta al predecessore. In barba al rispetto istituzionale, più si spara grosso, più i sondaggi sorridono. Ed è proprio l’enfatizzazione dei sondaggi a rappresentare il veleno sottile di questa stagione politica: non fa altro che adescare trasformisti, lobbisti e qualche sporcaccione attratti più dalla fascinazione del potere e dalla macchina del business pubblico che dal sacro fuoco della politica.
E così anche il senso di gratitudine e riconoscenza sembra evaporare: Decaro, svezzato in grande stile proprio da Emiliano sul palcoscenico della politica barese fino a raggiungere l’Europa, oggi non esita a prenderne le distanze pubblicamente.
E cosa chiede davvero Emiliano? Non un vitalizio di potere, ma di continuare a coltivare la propria passione politica, scendendo persino di scranno pur di restare a servizio della comunità. Fa specie, in questo clima, l’interpretazione monocratica del ruolo: la Regione non è un trono, ma un organismo complesso in cui giunta e consiglio cooperano per il bene della comunità pugliese.
Questa deriva è figlia di una politica deformata dal marketing. L’obiettivo non è più il buon governo, ma la vittoria elettorale a ogni costo. Si scivola così verso un populismo narcisista che svuota la democrazia, trasformando le piazze vere e la politica «in carne e ossa» in una simulazione artificiale, creata in laboratorio da agenzie di comunicazione.
E c’è di più: ciò che sta facendo Decaro è un grave errore istituzionale che potrebbe costituire un vulnus alla democrazia. Non si era mai visto che un candidato presidente invadesse così il campo di un corpo istituzionale - il consiglio regionale - che dovrebbe, semmai, controllarne e bilanciarne l’operato.
In realtà, Decaro teme Emiliano. Sa di non poter reggere il confronto sul governo di una regione che rappresenta plasticamente il pensiero di Zygmunt Bauman: un sistema complesso, fluido, stratificato, che Emiliano - come Vincenzo De Luca in Campania - ha saputo governare senza abiurare alla propria matrice politica.
Perché la Puglia non è Bari. È un mosaico di realtà diverse che richiedono approcci differenti, capacità di compenetrarsi nei problemi dei cittadini, non solo abilità di regia comunicativa. La vicenda di Taranto lo dimostra: nel bene o nel male, Emiliano c’è stato, mentre altri si rifugiavano nei non detti. No, non è bello lo spettacolo che Decaro sta offrendo ai pugliesi. I padri si onorano, non si uccidono. Ci saremmo aspettati un invito a partecipare, non un troppo prematuro invito a farsi da parte.