Urne aperte oggi e domani per le elezioni in Puglia, Campania e Veneto. Prima di addentrarci nell’analisi di queste regionali, chiariamo subito che si tratta di consultazioni che hanno una marcata valenza territoriale ed implicazioni molto limitate rispetto al rapporto tra maggioranza e opposizione e a quello tra i vari partiti all’interno delle singole coalizioni. Domani sera conosceremo i nomi dei nuovi governatori regionali ed entro martedì avremo il dettaglio dei risultati conseguiti dalle singole liste e dai singoli candidati in ciascuna delle regioni chiamate al voto.
Tra gli analisti politici e tra i rappresentanti partitici ci sarà qualcuno che proverà a trarre conclusioni più ampie, ma è difficile che da queste elezioni derivino effetti nazionali degni di nota. Sicuramente non per il governo, che può contare su una stabilità considerata anche a livello internazionale un valore aggiunto, oltre che sull’alta reputazione personale della premier. Le difficoltà per la maggioranza ci sono, come del resto è avvenuto per tutti i governi operanti all’interno del modello della democrazia rappresentativa e della repubblica parlamentare, ma la caratteristica principale dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni è data da un lato dalla ricerca continua delle ragioni della pragmaticità e dell’aderenza al senso di realtà, dall’altro dall’aver elevato la coerenza a valore fondante dell’intera attività di policy. Realizzare quello che si è promesso di fare in campagna elettorale e spiegare con chiarezza agli italiani non solo ciò che è utile al Paese, ma anche ciò che si può effettivamente fare considerando il perimetro ristretto del quadro di finanza pubblica, è uno dei parametri di valutazione della serietà dell’azione politica.
Si tratta di un parametro che conferisce al Presidente del Consiglio credibilità e fiducia: due elementi che restano la migliore carta da giocare per la strutturazione dei futuri assetti politici e per il posizionamento dell’Italia nello scenario geopolitico e geoeconomico. Una riprova in tal senso è data dall’agenzia Moody’s che per la seconda volta ha promosso l’Italia. Dopo 23 anni è stato alzato, infatti, il rating del debito pubblico, portato da Baa3 a Baa2 con outlook stabile. È un fatto di grande rilevanza poiché l’ultimo upgrade di Moody’s sull’Italia risale al 2002 quando c’era il secondo governo Berlusconi (anche in quel caso, dunque, un esecutivo di centrodestra), ma anche perché si interrompe una tradizione che vuole che l’agenzia americana faccia passare almeno un anno tra un miglioramento e l’altro nella valutazione del debito di un singolo Paese. Non si dimentichi che a maggio l’outlook era stato alzato da “stabile” a «positivo».
Torniamo alle elezioni regionali, partendo in questa nostra analisi dalla Puglia. Ha un finale già scritto la sfida tra De Caro in rappresentanza del campo largo e con sei liste (Pd, Movimento Cinque Stelle, Avs e tre del candidato presidente) e Lobuono in rappresentanza del centrodestra e con cinque liste (Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega insieme ad esponenti di Udc- Nuovo Psi-Puglia Popolare, Noi Moderati e La Puglia con Noi ma solo nelle circoscrizioni Bat, Lecce, Taranto). In Puglia il centrosinistra dal 2005 ad oggi ha consolidato un sistema di gestione del potere prima con Vendola e poi con Emiliano. Sistema che, unitamente all’appeal personale del candidato presidente, conferisce a Decaro molto vantaggio rispetto al proprio competitor, peraltro scelto con notevole ritardo dai leader del centrodestra. Uniche incognite sono i dati relativi all’astensionismo e quelli relativi ai risultati dell’alleato naturale del Pd (ovvero Alleanza Verdi Sinistra) e dei pentastellati di Giuseppe Conte, che con la Puglia ha da sempre un rapporto stretto anche per i suoi natali in provincia di Foggia.
In relazione all’astensionismo potrebbe essere interessante verificare l’eventuale produzione di effetti negativi nell’elettorato di centrosinistra per via dei duelli ingaggiati all’inizio della corsa elettorale tra Emiliano e Decaro e tra quest’ultimo e Vendola. Duelli poi accantonati, poiché il desiderio di mantenere il potere è sempre stato lo strumento più efficace per gestire tutto, comprese le divergenze di vedute, i protagonismi individuali, i posizionamenti e i riposizionamenti. Nell’altra metà campo sarà interessante vedere, invece, le percentuali raggiunte soprattutto da Fratelli d’Italia e dalla Lega, partito quest’ultimo al quale i sondaggi della vigilia non sorridono. È ovvio che prima di tutto occorre esaudire la curiosità numero uno, che è quella di sapere quale stacco quantitativo ci sarà tra i due competitor.
Dalla Puglia ci spostiamo in Campania. In questo caso il centrodestra potrebbe performare meglio di quanto farà in Puglia, ma le previsioni della vigilia danno comunque in vantaggio il candidato della coalizione di centrosinistra, ovvero l’ex Presidente della Camera Fico, esponente di spicco del Movimento Cinque Stelle fin dal momento della sua fondazione da parte di Beppe Grillo. Su di lui dovrebbero convergere quasi tutti i voti del governatore uscente De Luca, che ha guidato per dieci anni una delle regioni più difficili e complesse. De Luca puntava al triplete (il terzo mandato) e all’inizio si era anche scagliato contro la candidatura di Fico, ma poi ha negoziato la segreteria regionale dem per il figlio Piero e tutto è rientrato.
Nel futuro governo regionale della Campania molto probabilmente ci saranno suoi fedelissimi. Ci si chiede chi erediterà i suoi consensi e quali saranno i prossimi passi, visto che egli sembra volersi ricandidare a sindaco di Salerno. Ancora una volta c’è il desiderio di De Luca di pesarsi elettoralmente per poi far pesare i propri voti. La stessa cosa, ma con proporzioni diverse, proverà a farla Clemente Mastella, con la candidatura del figlio Pellegrino. Della città di Salerno è anche il candidato di centrodestra, Cirielli. Figura rilevante del partito guidato da Arianna Meloni, insieme ad altri nomi di primo piano (come ad esempio l’ex Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano), egli porterà valore aggiunto a Fratelli d’Italia. Partito che in Campania è in competizione (interna alla coalizione) soprattutto con Forza Italia.
Risaliamo lo stivale e dalla Campania ci spostiamo in Veneto, dove almeno sulla carta si conclude la lunga stagione di Luca Zaia. Il governatore uscente correrà come capolista della Lega in tutte le province. Non c’è partita tra il candidato del centrodestra, il leghista Alberto Stefani, e quello del centrosinistra, ovvero Giovanni Manildo. Il primo è stato sindaco di Borgoricco, piccolo centro della provincia di Padova. Il secondo è stato primo cittadino di Treviso. Nessuno dei due è, tuttavia, particolarmente noto. In Veneto la cosa più interessante da scoprire non è tanto chi vincerà, ma quali risultati conseguiranno le liste della Lega e di Fratelli d’Italia.
Com’è noto, la Meloni avrebbe voluto un ricambio più netto in questa regione con la candidata Elena Donazzan, ma ha detto di sì a Stefani perché punta ad esprimere il candidato alla presidenza della regione Lombardia alle prossime elezioni. Disegno che per la premier diventa molto più facile da realizzare se in Veneto FdI superasse la Lega: sarebbe questo l’unico effetto rilevante a livello nazionale delle elezioni regionali. Ma come lo prenderebbe Salvini un sorpasso di Fratelli d’Italia in Veneto?
Domenica 28 settembre sulla Gazzetta del Mezzogiorno pronosticai per le regionali un pareggio: 3 a 3 tra centrodestra e centrosinistra. La prima coalizione ha già conquistato Marche e Calabria e si accinge a vincere anche in Veneto. La seconda, invece, ha confermato la sua guida in Toscana e si accinge a farlo anche in Puglia e, probabilmente, in Campania. È un pronostico che confermo a distanza di quasi due mesi, al netto dell’astensionismo. Variabile che può pesare, nonostante nell’ultima settimana sia cresciuta la polarizzazione tra gli schieramenti in vista delle Regionali, come dimostra la ricerca fatta da Domenico Giordano di Arcadia. Ricerca che evidenzia come i numeri delle citazioni rilevate siano sì ampi ma non straordinari, che il parlato digitale è presente soprattutto in alcuni cluster e, infine, che il 24% di utenti under che parlano di elezioni regionali rappresenta un dato in linea con le esperienze pregresse. Staremo a vedere, ma non ci aspettiamo grosse sorprese.
















