Martedì 25 Novembre 2025 | 12:39

Le donne imparino che non c’è libertà senza reddito

Le donne imparino che non c’è libertà senza reddito

 
Maristella Massari

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Maristella Massari

Lavoro, in Puglia si pagano più pensioni che stipendi

In Puglia, nell’ultimo anno, hanno perso la vita Lucia Chiapperini, Maria Teresa Parata, Amalia Quarta, Hayat Fatimi, Teresa Sommario. Ognuna con la sua storia, la sua famiglia, i suoi sogni interrotti

Martedì 25 Novembre 2025, 11:04

C’è un rumore che non passa mai. È il rumore di quando qualcosa si spezza: un equilibrio, una fiducia, una vita. A volte è un tonfo sordo e arriva sotto forma di un silenzio troppo profondo, altre volte è devastante come un urlo che nessuno ha voluto ascoltare. Ma sempre, sempre, è un segnale che riguarda tutti noi.

Da mesi, con «La Gazzetta delle Donne», proviamo a restare in ascolto di questo rumore. A farne linguaggio, racconto, protezione. Lo facciamo perché sappiamo che la violenza non nasce dal nulla: cresce nella dimenticanza, nella sottovalutazione, nella normalizzazione. Si alimenta quando smettiamo di vedere, quando i fatti diventano «casi» in cronaca, quando una donna che chiede aiuto viene chiamata esagerata, confusa, instabile. E così, mentre il mondo discute di intelligenza artificiale, algoritmi, transizioni digitali, noi ci ritroviamo ancora a fare i conti con la più arcaica delle violenze: quella esercitata tra le mura di casa.

In Puglia, nell’ultimo anno, hanno perso la vita Lucia Chiapperini, Maria Teresa Parata, Amalia Quarta, Hayat Fatimi, Teresa Sommario. Ognuna con la sua storia, la sua famiglia, i suoi sogni interrotti. Nomi che dovrebbero essere scolpiti nel marmo civile di questa regione, perché ogni femminicidio è un terremoto che colpisce tutti, non «solo» una donna. E allora torna alla mente una frase che spesso ripeto: «La violenza contro le donne non riguarda le donne: riguarda la società che siamo disposti a tollerare».

In questi mesi, sulle pagine de «La Gazzetta delle Donne», abbiamo provato a raccontare tutto ciò che spesso resta in ombra. Non solo la violenza fisica, che è l’ultimo atto di una catena più lunga, ma anche la violenza sottile che prepara il terreno: la manipolazione, la svalutazione, l’umiliazione, il controllo economico. Perché non si può essere libere se non si possiede neppure il denaro necessario a comprare un vestito senza doverlo giustificare. L’indipendenza economica è la prima forma di libertà, la prima cintura di sicurezza, il primo passo verso l’autodeterminazione. Lo sa ogni donna che ha avuto paura di dire «voglio andare via» e non ha potuto farlo perché non sapeva come sopravvivere.

È per questo che l’educazione finanziaria è diventata uno dei cardini del nostro viaggio: saper leggere un contratto, saper gestire un conto, comprendere cosa significa firmare una garanzia, sapere che un conto cointestato non è un dettaglio affettivo, una concessione, ma un atto giuridico, anche se uno dei due (spesso la donna) non porta reddito. Piccole grandi consapevolezze che possono fare la differenza tra una vita possibile e una vita negata. Lo diceva già Virginia Woolf: «Una donna deve avere denaro e una stanza tutta per sé, se vuole scrivere». E se vuole vivere, aggiungerei oggi.

Non c’è libertà senza reddito. Non c’è scelta senza autonomia. Non c’è dignità senza conoscenza. E in questo percorso, il nostro mensile è diventato una comunità diffusa, una rete che protegge. Ogni storia raccolta, ogni intervista, ogni statistica analizzata, ogni testimonianza ascoltata è stata un tassello di un mosaico che si allarga e riflette la luce anche dal buio. Un luogo dove le donne trovano parole e strumenti, ma anche dove gli uomini possono comprendere il proprio ruolo nel cambiamento. L’ho scritto tempo fa e resto convinta che l’educazione ai sentimenti cominci in famiglia e che il ruolo delle madri nell’educare i figli maschi è decisivo: sono loro, soprattutto loro, a insegnare la differenza tra amore e possesso, tra cura e controllo, tra rispetto e dominio. Nulla di più vero oggi. Tenere alta l’attenzione non è un esercizio giornalistico: è un dovere civile. Perché più è fitta la rete intorno alle donne, più è alta la probabilità della salvezza. Perché informare non è mai neutro: è un atto politico nel senso più nobile del termine, un impegno verso la comunità. Per questo domani a Bari, abbiamo messo a punto con la Regione e la Camera di Commercio il convegno «Senza contare. Le donne e il costo nascosto della dipendenza economica». Un momento di studio, di confronto, di responsabilità collettiva. Non solo per parlare di violenza economica, ma per riconoscerla come parte essenziale del fenomeno: una forma di controllo silenziosa che attraversa i redditi, i contratti, le carriere, le scelte di vita. Un cappio che stringe senza lasciare lividi.

Il Manifesto che presenteremo (cinque impegni chiari, concreti, necessari, urgenti) nasce proprio da qui: dalla volontà di offrire strumenti, non solo parole. Viviamo tempi contraddittori. Da un lato, conquiste straordinarie, aperture, consapevolezze nuove. Dall’altro, un ritorno di ombre, nostalgie patriarcali, resistenze sottili che si infilano nel linguaggio, nella cultura, nei comportamenti quotidiani. È come se avanzassimo su due binari paralleli: uno moderno, uno antico. Uno che apre, uno che restringe. Uno che promette, uno che trattiene. E allora resta una domanda, semplice e urgente: che società vogliamo diventare? La risposta non può essere delegata, né rimandata. Perché il tempo contemporaneo corre veloce, ma il cambiamento – quello vero – ha bisogno di mani, voci, responsabilità e memoria.

«La Gazzetta delle Donne» continuerà a fare la sua parte. A raccontare. A denunciare. A proteggere. A illuminare. Perché nessuna donna deve restare sola. Perché nessuna vita deve spezzarsi nel silenzio. Perché, ancora oggi, la prima forma di giustizia è guardare in faccia la realtà e avere il coraggio di non abbassare mai lo sguardo.

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