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il destino dell’ue tra isolazionismo usa e venti di guerra

il destino dell’ue tra isolazionismo usa e venti di guerra

 
Enzo Verrengia

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Enzo Verrengia

Il destino dell’Ue tra isolazionismo Usa e venti di guerra

enzo verrengia

Mercoledì 05 Marzo 2025, 14:24

14:41

Il vertice convocato da Macron per discutere del nuovo stato dell’arte nei rapporti Usa-Ue, più che fornire risposte, solleva altri interrogativi. I quali riguardano soprattutto l’essenza stessa della creatura geopolitica sorta sul vecchio continente all’indomani della seconda guerra mondiale, e cresciuta fino a diventare un altro polo dell’assetto internazionale. Allora conviene riandare al nucleo di questa vicenda che ha fatto e seguita a fare l’età contemporanea.

L’Europa sembra esistere con prepotenza proprio quando la si nega o rinnega. Non è un paradosso, bensì uno degli sbocchi più preoccupanti del pensiero approssimativo dell’età digitale. Infatti, l’ascesa del sovranismo poggia sulla stessa realtà che questo vorrebbe abolire. Non si può essere contro l’Europa se non si accetta la sua consistenza culturale, geografica e soprattutto storica.

L’Unione Europea nasce con l’obiettivo di amalgamare Paesi differenti in una massa territoriale omologa alla disposizione di regioni, montagne e bacini acquatici (si pensi al Danubio), ma finisce per essere considerata solo come una sovrastruttura finanziaria, che obbliga i partecipanti ad adeguare economie nazionali quasi sempre inconciliabili.

A ciò si aggiunga una percezione diffusa dell’estraneità di certe normative, mai assimilate veramente dal cittadino medio. Esemplare l’ironia del tedesco Franz Joseph Strauss: «I dieci comandamenti contengono 279 parole, la Dichiarazione Americana d’Indipendenza 300 e le disposizioni della comunità Europea sull’importazione di caramelle esattamente 25.911».

C’è un ostacolo più elementare rispetto al compimento degli Stati Uniti d’Europa. Lo individuò un grande studioso non certo imputabile di simpatie sovraniste, Umberto Eco, che scrisse: «Quello dell’identità europea è un problema antico. Ma il dialogo tra letterature, filosofie, opere musicali e teatrali esiste da tempo. E su di esso si fonda una comunità che resiste alla più grande barriera: quella linguistica». Lo dimostra la discrepanza tra la facilità monetaria comportata dall’Euro e l’ancora insormontabile difficoltà di comunicazione che sorge all’attraversamento delle frontiere nell’area Schengen. Il visitatore sprovveduto, o più di preciso il turista di massa, che ha la presunzione di voler visitare il mondo senza conoscerlo e senza capirlo, non è quasi mai bilingue.

A questo punto, occorre evocare dall’oltretomba il Bonaparte, che affermò: «L’Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno si sarebbe sentito nella patria comune... Tale unione dovrà venire un giorno o l’altro per forza di eventi. Il primo impulso è stato dato. Dopo il crollo e dopo la sparizione del mio sistema io credo che non sarà più possibile altro equilibrio in Europa se non la lega dei popoli».

L’ultimo auspicio di Napoleone fu ripreso alla lettera da De Gaulle, che oppose la centralità degli ambiti nazionali, sebbene riuniti, al «superstato» dei tecnocrati. Jean Monnet fu definito da Maurizio Blondet «il fiduciario dei cartelli e dei poteri finanziari», contro il quale si scagliò a suo tempo De Gaulle. L’uomo a cui è dedicata la piazza del parlamento europeo fu tuttavia un pensatore lungimirante, che intuì l’ineludibile necessità di far poggiare l’Europa sulle istituzioni più importanti di un pianeta che volesse abolire per sempre la guerra e sostituirla con il trionfo degli scambi commerciali. Da francese, anche in questo si rifaceva a Napoleone, che sosteneva: «Abbiamo bisogno di una legge europea, di una Corte di Cassazione Europea, di un sistema monetario unico, di pesi e di misure uguali, abbiamo bisogno delle stesse leggi per tutta Europa. Avrei voluto fare di tutti i popoli europei un unico popolo... Ecco l’unica soluzione!»

Su questa strada si para Donald Trump, che lavora per il capitalismo in un Paese solo. Il neoisolazionismo americano, espresso nel nuovo mandato affidatogli dalle urne, ingenera un’area di disagio nell’intrico del mercato globale. Se non il pericolo di conflitti non più soltanto doganali.

È lo scenario che gli analisti considerano sempre più vicino alla mezzanotte del celebre orologio dell’apocalisse. Dovrebbe riflettervi chi l’Europa dell’Unione mira a smobilitarla per un’incognita tutt’altro che scontata. A questo punto, la moneta unica non è più un elemento di inglobamento delle valute nazionali, quanto il simbolo operativo di un’entità coesa in grado di affrontare un millennio che, nella sua terza decade, si dipana fra le attese di un imprevedibile futuro.

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