Se c’è un mercato che in controtendenza col resto non conosce crisi, è quello della droga.
La domanda è un’iperbole in continua crescita, trasversale a età e fasce sociali. E se secanti diventano i canali d’approvvigionamento, al di là e al di qua della frontiera patria, tangenti sono i cammini delle mafie sempre più strutturate come una grande e unica famiglia votata alla collaborazione.
L’operazione conclusa in queste ore da polizia e guardia di finanza sotto il coordinamento della direzione distrettuale antimafia ne è conferma ulteriore, qualora fiumi di parole vergate nelle ultime relazioni semestrali della Dia non fossero bastate.
Per un rapido recap: le mafie italiane collaborano con le organizzazione estere, su suolo patrio poi hanno allentato i confini territoriali aprendo le dogane delle proprie strutture interne alle realtà di altre regioni (nel caso di specie, Sacra Corona Unita e ‘Ndrangheta lavorano a quattro mani che è una bellezza, ndr). Al loro interno infine, scendendo più in profondità, le diverse frange anziché farsi la guerra fanno affari, come testimonia nell’operazione attuale, l’affare da mezzo milione di euro al mese tirato su dal clan Pepe-Briganti e dal gruppo Penza della Scu.
Al «post it» si aggiunga, in termini di assetti interni, che capi storici dietro le sbarre continuano ad impartire ordini, forti della complicità delle donne e non solo. I boss che dal carcere dettano legge, lo confermano le carte, con l’ausilio di compagne, mogli, parenti, sodali. Lo fanno attraverso missive e telefonini all’interno delle carceri.
Le pesanti condanne inflitte ai sodalizi Pepe e Penza e la liberazione degli storici boss Briganti, Leo e Tornese delineano una fase di riorganizzazione con il fine di permeare in modo silente anche il tessuto economico in una situazione di pace tra i gruppi.
Da ultimo, ma non meno importante, l’inserimento nell’economia legale di figure di riferimento dei clan. Le associazioni mafiose salentine si rifanno il look e la plastica facciale, riproponendosi come papi nobili della società civile, adottando una strategia finalizzata a imporre con escamotage personaggi di spicco, reduci da più o meno lunghi periodi carcerari, nell’economia e nelle società fornendo loro una ricostituita immagine di imprenditori o lavoratori.
E in quell’economia legale si inserisce anche un fiume di denaro sporco da ripulire, con la collaborazione attiva di colletti bianchi insospettabili quanto a fedina penale ma spregiudicati e come e più delle figure cui porgono il fianco.
Da lì le mani sulle città, sul territorio, come in una perversa pericolosa versione del gioco del Monopoli: acquisizione di beni, realtà del settore turistico-ricettivo, ristorazione, somministrazione e divertimento, mattone dopo mattone. La longa manus, anzi i tentacoli della criminalità avvolgono nelle loro spire il tessuto economico produttivo, lo infiltrano in maniera diretta e indiretta e proliferano all’ombra di una zona grigia di sodali sempre più ampia e di difficile definizione.
Sul fronte degli affari spicci e vecchia maniera, l’attività principale della mafia s.p.a. si diceva all’inizio, e conferma l’attività delle forze dell’ordine, resta il narcotraffico.
Proprio sul fronte droga la SCU continua a collaborare e consorziarsi con altre mafie. Le nostre organizzazioni non disdegnano accordi con Olanda, Belgio, Spagna e ancora di più con l’Albania per comodità logistiche. Ogni Paese viene scelto in base alla tipologia di forniture, il Paese delle Aquile per la marijuana ad esempio, gli altri per la cocaina.