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Dalla salsa solidale a quel «si può fare» per battere le ingiustizie

 
Giuse Alemanno

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Giuse Alemanno

Dalla salsa solidale a quel «si può fare» per battere le ingiustizie

Quando gli esseri umani, volontariamente, trasformano una risorsa affinché soddisfi un bisogno, si dice che lavorino

Mercoledì 28 Agosto 2024, 13:10

Quando gli esseri umani, volontariamente, trasformano una risorsa affinché soddisfi un bisogno, si dice che lavorino. Il lavoro, quindi, permette una interazione tra uomini e creato, oltre ad avere un importante ruolo sociale, in quanto mette gli individui in relazione tra loro. Auspicabile sarebbe, a causa del fine comune, che gli uomini si accordassero tra loro, considerandosi sodali. L’esperienza umana, invece, ciò castiga, trasformando tante ipotesi d’intesa nel travestimento di qualche forma di subordinazione. A esser favoriti sono i pochi controllori dei mezzi di produzione, non certo i prestatori d’opera.

Un aspetto esistenziale rilevante come il lavoro – e le sue ricadute - ha attirato l’attenzione e lo studio di eminenti economisti e sociologi. Da Smith a Marx, da Durkheim a Taylor, da Fayol a Friedman, fino ad arrivare a Tourraine e alla coppia Kerr/Schumann, non è mancata mai una analisi attentissima del lavoro e delle sue conseguenze, armonizzata al cambiamento dei tempi e delle condizioni. E delle sue storture, perché la ricerca ossessiva dell’utile derivante dal lavoro, è stata strada maestra per lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Questo si è verificato spesso nel comparto agricolo. Non sono rari i fatti terribili di cronaca che lo confermano.

A quelli, preferisco i buoni esempi. Come quello che arriva da «SfruttaZero», la salsa di pomodoro con lo 0% di sfruttamento prodotta a Bari. I primi prodotti sono pronti per la distribuzione, che inizierà a settembre. L’esistenza di una simile impresa permette una domanda banale: ma se si può creare una filiera agricola virtuosa che dona soddisfazione (anche economica) a chi vi partecipa, perché una tale attività è così rara, al punto da diventare notizia? La risposta è intuibile leggendo tra le pieghe di un Report Istat del 28 novembre 2011, relativo ai risultati economici delle aziende agricole italiane. La dettagliata mole di cifre e informazioni contenuta nel documento, consegue in una constatazione: troppe spese fisse, troppa burocrazia, troppe zavorre. I cattivi imprenditori limano gli effetti di tali fardelli attaccando il rispetto per la vita dei lavoratori, le prerogative, la sicurezza, gli emolumenti. Una scelta amorale, sovente illecita, non possibile in un Paese civile. Soprattutto perché «SfruttaZero» dimostra che si può produrre osservando con scrupolo leggi e garanzie. Non sono accettabili i braccianti morti di caldo, asfissiati sotto i teloni che proteggono l’uva da tavola, alienati da orari antimetabolici o macinati da macchine che raccolgono le zucche. Intollerabili i lazzaretti per immigrati lavoratori, come quello tra San Severo e Rignano Garganico.

Una nuova forma di impresa deve vincere lo schifo. Si sostengano, dunque, i buoni esempi che dimostrano che «si può fare». Perché aveva ragione Andrew Carnegie, un imprenditore dell’acciaio noto per la sua filantropia: «Per ogni cosa che valga la pena avere nella vita, vale la pena si lavori per ottenerla». Se vogliamo un mondo del lavoro agricolo equo, sicuro, solidale e legale, è giusto si lavori per esso. Uniti e insieme.

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