Michele Emiliano è andato a Canossa. Fuor di metafora, a Volturara Appula. Il luogo da cui proviene Giuseppe Conte. A suo modo, Emiliano ha rilanciato il rapporto con il M5S. Il che era prevedibile, essendo Conte un ancoraggio sicuro. Senza i grillini la maggioranza è attaccata con lo sputo. Di mezzo c’è il patto alla legalità. Nella fattispecie, bisogna distinguere la questione morale dalla questione giudiziaria, altrimenti si fa di tutt’un’erba un fascio.
Questione morale è il rapporto tra politica e società, il bonapartismo, l’amicchettismo, il clientelismo, l’occupazione dei posti di potere e quant’altro fa capo alla questione giudiziaria, compreso il voto di scambio. Sennonché, Emiliano ha aperto ai 5s e ha lanciato il patto alla legalità, ossia un organismo di vigilanza - come quello presente nella sanità NIRS- il cui compito è di operare anche in altri settori della amministrazione regionale, avente un coordinatore e degli ispettori che «setaccino» ogni atto e ogni notizia suscettibile di accertamento di irregolarità. È sparito l’assessorato alla legalità la cui funzione era un oggetto misterioso ed era una proposta assai propagandistica, per dar vita, a nostro modesto parere - a una sovrastruttura burocratica e farraginosa con una pletora di «commissari del popolo». Contraddicendo se stesso, dal momento in cui ha ribadito «che la giunta non è mai stata coinvolta nelle ultime vicende giudiziarie con riferimento alla propria attività istituzionale, che è stata sempre improntata al rispetto del principio di legalità e imparzialità». Em qui scatta la domandas: che motivo c’è, allora, di offrire un assist a Conte, così da dargli implicitamente ragione quando dichiara «“infetto» il Partito democratico?
Sulla linea della segretaria nazionale, si è mosso il segretario regionale pugliese, avendo il mandato da parte della direzione Pd di chiedere a Emiliano un «rinnovamento profondo» del governo da lui presieduto e una «ricomposizione» unitaria con la Schlein. La maggioranza ha accolto le istanze fatte dal Pd: il cambio di passo politico e l’inserimento di «altissime figure che verranno proposte dai partiti». Tuttavia, Emiliano, che conosce per filo e per segno la politica regionale, ha difficoltà ad azzerare la giunta - come chiede invece la Schlein - e preferisce cambiare il minimo necessario, per far quadrare il cerchio. Precisando che a Roma non lo sanno bene, ma c’è uno Statuto regionale che obbliga il presidente a scegliere gli assessori non tra 60 milioni di persone, ma fra 30 eletti della sua maggioranza, «il che ovviamente è piuttosto complicato». Da un lato, la realpolitik di Emiliano, dall’altro, la politica movimentista della Schlein.
Alla luce degli ultimi accadimenti, occorre un colpo d’ala sia per quanto riguarda il rinnovo del personale della giunta sia sulla necessità di cambiare, riformisticamente, la Puglia. Pertanto, non ci sarebbe alcuna ragione di sterzare verso una piu’ accentuata legalizzazione. Il che dà solo ragione a Conte che non vede l’ora di ergersi a custode della morale e di vantarsi di aver imposto il primato della legalità, a scapito della politica la cui crisi è a tutto tondo. Non a caso la Schlein ha cambiato postura nei confronti di Conte, rendendosi conto della scarsa affidabilità. Guarda caso, si sente con Calenda e si telefona con Renzi. Dopo Bari, si è resa conto della realtà politica barese e pugliese e ha preso coscienza dei fatti.
Come in ogni grande famiglia, in specie in quelle politiche, ci sono problemi di tutti i tipi, in primis, quelli delle prospettive personali. Decaro si sposterà da Bari a Bruxelles, Emiliano lascia nel 2025 e Vendola ? Problemi grandi quanto una casa. Se, da un canto si ammira «l’abilità dialettica di Emiliano», dall’altro, politicamente, è un «irregolare» difficile da irreggimentare. Siccome ha una «sensibilità naturale della politica», ha una qualità che lo porta a sintonizzarsi con i sommovimenti politici e sociali come pochi. Non sempre - come visto - questo, chiamiamolo, «fiuto» si declina con le ragioni talvolta del governo nazionale.
Dalla Regione Puglia a Bari Città metropolitana. La discordia nel campo di Agramante ha portato Michele Laforgia e Vito Leccese candidati a sindaco di Bari. Competition is competition. Marciare divisi, colpire uniti. Una teoria della guerra di movimento: il cui mezzo era dividere le forze al fine di unirle. Il generale Von Moltke, inventore di tale strategia, otteneva una schiacciante superiorità sul campo di battaglia, la cui vittoria, diciamo, era scontata.
Dopo mesi di batti e ribatti per trovare una soluzione unitaria, fu chiamato come mallevadore Nichi Vendola che aveva trovato un terzo candidato, Nicola Colaianni. Una specie di Cincinnato che fu convinto a candidarsi per superare l’impasse: in verità a parole voluto da tutti, nei fatti boicottato. Per primo fu Conte che non ci pensò due volte e con molta brutalità lo affondò, affermando che non era un «rigeneratore» della politica barese per la sua veneranda età.
La sinistra presenta due sfidanti coriacei al primo turno che ce la metteranno tutta per non darsi per vinti e la destra un candidato a sindaco con «tridente»”. A sinistra Laforgia appoggiato in primis dal M5S di Conte, Leccese da Emiliano e Decaro. I due hanno promesso che faranno le elezione con fair play (se non si attenessero, resterebbe un duello rusticano). La cosa curiosa è che Bonelli e Fratoianni si sono divisi: il primo con Leccese e il secondo con Laforgia.
Chi dei due, Laforgia e Leccese, supererà il primo turno, il perdente dovrà far convergere gli elettori su colui che risulterà avversario del candidato della destra. Difficilmente uno dei tre vincerà al primo turno.
Dalla Puglia felix alla Puglia infelix, per ora. Speriamo che Bari ritorni alla sua vivace «baresita», cui Don Benedetto era tanto legato.