Martedì 30 Settembre 2025 | 19:51

La svolta di Casarano: ora la mafia viene chiamata per nome

 
Danilo Lupo

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Danilo Lupo

La svolta di Casarano: ora la mafia viene chiamata per nome

Spiccano in testa le fasce tricolore dei sindaci, accanto a quella celeste del presidente della Provincia di Lecce. Seguono le bandiere colorate di Libera

Domenica 10 Marzo 2024, 13:33

Spiccano in testa le fasce tricolore dei sindaci, accanto a quella celeste del presidente della Provincia di Lecce. Seguono le bandiere colorate di Libera. E poi striscioni, gonfaloni, i cartelli degli studenti, i gagliardetti delle associazioni. La piazza è stracolma, è oltre le aspettative la risposta di Casarano all’omicidio che si è consumato appena sette giorni prima ma che è solo l’ultimo episodio di una guerra di mafia che dura da sette anni. In questi sette anni, però, Casarano ne ha fatta di strada. E il corteo che si è snodato ieri per le vie del centro cittadino è uguale e contrario a quello che si snodò sette anni fa, quello per il funerale di Augustino Potenza. Era il 2016, un sabato pomeriggio di fine ottobre e la chiesa matrice, la più grande di Casarano, era piena come un uovo. Nel silenzio altissimo, tra gli altari barocchi e sotto la grande tela settecentesca che raffigura l’episodio biblico della fornace ardente passò la bara dell’“italiano“, il boss ucciso tre giorni prima a colpi di mitragliatore AK47 nel parcheggio del centro commerciale della città. Le persone erano centinaia, forse un migliaio; non mancava qualche consigliere comunale. Non erano tutti mafiosi, ovvio: ma erano tutti lì per il carisma di Potenza: quel funerale fu la più potente manifestazione della personalità del boss uscito indenne dall’ergastolo, sempre pronto a dare una mano a chi si rivolgeva a lui, con una chiara visione economica di una Scu 2.0, attento più alle carte di credito che alla lupara bianca, capace di reinvestire il denaro dello spaccio nelle più tradizionali attività economiche del territorio, l’abbigliamento e il calzaturiero. Da allora però Casarano ha fatto molta strada. Molto ha pesato il lavoro silenzioso di Libera, l’intuizione di strutturare un comitato intercomunale: come Casarano era diventata, con la diarchia Potenza-Montedoro, il punto di riferimento della mafia, così poteva diventare anche il punto di riferimento dell’antimafia sociale.

Casarano ha fatto molta strada anche nelle sue istituzioni: sette anni fa l’amministrazione comunale ebbe una reazione che è frequentissima nelle comunità in cui deflagrano fatti di mafia: si chiuse a riccio, negando che ci fosse una malattia e anzi attaccando chi ne pronunciava il nome a voce alta. E l’opinione pubblica seguì questa linea, forse sperando che l’omicidio del boss fosse un fatto isolato, senza conseguenze, da dimenticare in fretta. Così non è stato: a quel primo omicidio sono seguiti due tentati omicidi, spari contro le case e le saracinesche, incendi di autovetture, fino all’assassinio di Antonio Afendi, avvenuto a colpi di pistola la mattina del 2 marzo in pieno centro. Ecco perché ieri sia l’amministrazione della città che l’opinione pubblica del basso Salento hanno fatto un passo avanti: si sono resi conto che la criminalità organizzata ha messo radici profonde nel territorio e hanno chiamato per nome la malattia. Sembra poco; e invece è la premessa per ogni possibile guarigione.

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