Sempre meno giovani scelgono di diventare infermieri. È un dato allarmante che riguarda tutti, perché senza chi cura da vicino - nei reparti, nelle case, nelle comunità - non può reggere non solo la promessa di un Servizio Sanitario universale ma l’intera società.
In Italia, per la prima volta, le domande per il corso di laurea in Infermieristica sono state meno dei posti a bando. Nel 2025 i posti a disposizione erano 20.699, a fronte di circa 19.000 domande, con un calo dell’11,3% rispetto all’anno precedente. Anche nella ricca Lombardia, ad esempio, quest’anno oltre seicento posti nei corsi di Infermieristica sono rimasti scoperti: alla Statale di Milano 815 posti disponibili hanno attirato appena 567 candidati, a Pavia 291 posti per 151 domande.
È un segnale che non riguarda solo le università, ma il futuro stesso del Servizio Sanitario Nazionale. Le cause sono note. Stipendi fermi a 1.700–1.800 euro lordi al mese, insufficienti a fronte di turni notturni, festivi, lavoro usurante. Poche prospettive di carriera, scarso prestigio sociale, riduzione del «bacino» di studenti che un tempo sceglievano Infermieristica come alternativa a Medicina. A tutto ciò si somma un dato inquietante: ogni anno in Italia circa 25.000 infermieri vanno in pensione, mentre i nuovi laureati, pur in aumento, non riescono a colmare il ricambio. Erano 8.866 nel 2004, sono diventati 11.404 nel 2024 (+28,6%) e potrebbero arrivare a 14.500 nel 2027. Troppo pochi per tenere in equilibrio la bilancia.
Il confronto europeo è impietoso: in Italia ci sono 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro gli 8,4 della media dell’Unione europea. E le proiezioni parlano chiaro: nei prossimi anni mancheranno tra 60.000 e 100.000 infermieri. Non un dettaglio tecnico, ma la descrizione di un dramma annunciato.
E questo dramma riguarda prima di tutto la popolazione fragile. L’Italia è uno dei Paesi più vecchi al mondo: oltre il 24% della popolazione ha più di 65 anni (ISTAT, 2024), e nel 2050 un cittadino su tre sarà anziano. Più fragilità, più cronicità, più bisogno di prossimità: e quindi più bisogno di infermieri. Ignorare questo significa non vedere che la domanda di cura crescerà proprio mentre cala l’offerta di chi la garantisce.
Per questo non si tratta di un problema che riguarda solo gli addetti ai lavori. Un’opinione pubblica che non percepisce questo squilibrio come un dramma è come chi cammina sereno sopra una crepa che già attraversa il terreno sotto i suoi piedi: quella crepa si allargherà. E significherà ospedali senza personale, territori lasciati soli, prossimità negata.
Gli ultimi dati ci dicono che non basta aumentare i posti universitari. Il punto è restituire valore alla cura e dignità a chi cura. Serve una scelta politica e culturale: investire su salari, carriere, riconoscimento sociale. Non è un dettaglio di categoria, ma una questione di sopravvivenza collettiva. Senza infermieri, senza dignità e prospettive per chi cura, il Servizio Sanitario Universale non regge. È una scelta che riguarda tutti noi: o ci assumiamo la responsabilità di sostenerli, oppure accettiamo di vivere in un Paese più fragile e più solo.