Oggi e domani si vota nelle Marche per l’elezione del governatore e del consiglio regionale. Il candidato del centrosinistra Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, sfida il presidente uscente Francesco Acquaroli, personaggio di spicco di Fratelli d’Italia e molto vicino alla premier Giorgia Meloni. Particolare che spiega il perché queste elezioni regionali siano diventate assai notiziabili a livello nazionale, nonostante abbiano una connotazione territoriale. Fin dall’inizio si è trattato di una campagna ad alto tasso di mediatizzazione un po’ per la natura stessa della legge elettorale di questa regione, un po’ per la narrazione che ne ha accompagnato l’intero svolgimento. Quanto alle regole in vigore nelle Marche, si ricordi che non si può esprimere il voto disgiunto. In buona sostanza, non si può votare il candidato presidente di una coalizione e contemporaneamente uno dei rappresentanti delle liste che militano nella coalizione avversa. Leader e partiti hanno investito fino all’ultimo sulla capacità attrattiva del candidato presidente, ma è valso anche il principio contrario, ovvero che senza il supporto convinto dei partiti non si può vincere. Quanto alla narrazione politica non sfugga il fatto che Acquaroli ha potuto godere della presenza nelle Marche di Meloni, Salvini, Tajani e Lupi e che a Pesaro sono arrivati i vertici del Pd, ovvero Schlein e Bonaccini. Leader, dunque, in prima linea, a riprova di quanto il significato politico di questo appuntamento vada ben oltre il perimetro più ristretto del territorio regionale.
Per il centrosinistra le Marche rappresentano un’occasione utile per consolidare una campagna di comunicazione che nelle intenzioni dei vari leader (Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli, ma anche Renzi) è funzionale alla logica dell’attacco frontale al governo. Del resto, i toni nelle ultime settimane si sono alzati tantissimo, come dimostrano la vicenda della Flotilla e le manifestazioni pro-Pal. Sull’esito delle elezioni nelle Marche pesa l’incognita dell’astensionismo, variabile in campo non sempre ponderabile alla vigilia di una consultazione elettorale. Inoltre, va valutato con precisione il voto identitario e l’evoluzione dei rapporti tra gli alleati del cosiddetto «campo largo». Nel contempo, non va dimenticato ciò che finora è emerso da molti sondaggi: Acquaroli potrebbe essere riconfermato, anche se non con lo stesso scarto rispetto ai propri competitor registrato cinque anni fa. La candidatura di Ricci, d’altronde, è stata fin dall’inizio in salita, specie per il noto problema giudiziario. Al contrario, Acquaroli porta a casa, soprattutto grazie alla volontà di Giorgia Meloni, un risultato importantissimo: l’ingresso delle Marche nella Zona economica speciale, la cosiddetta «Zes», che d’ora in poi verrà gestita dalla cabina di regia istituita presso il Dipartimento per il Mezzogiorno di Palazzo Chigi.
Le Marche sono state al centro dell’attenzione nelle ultime settimane poiché da più parti si considera questo voto un test per il governo. Si è addirittura parlato di elezioni di Midterm per l’esecutivo, ricorrendo ad un paragone con il sistema elettorale americano a dir poco improprio. Se di test si tratta, in realtà esso riguarda maggioranza e opposizione. Spesso è stato evidenziato che le candidature del centrodestra in regioni come Veneto, Puglia e Campania sarebbero state decise e ufficializzate solo dopo aver conosciuto l’esito del voto marchigiano. È quanto accadrà. Per essere ancora più espliciti, la conferma di Acquaroli renderebbe più agevole la soluzione dei nodi ancora presenti nelle altre regioni, a partire dal Veneto. Qui il problema è anzitutto quello di rendere compatibili due opposte esigenze: da un lato il ricambio della classe dirigente, dando più visibilità agli esponenti di FdI; dall’altro la volontà di non disperdere il grande consenso di cui ancora gode l’uscente Luca Zaia. Non molto differente è la situazione in Puglia e Campania, dove regna molta incertezza sul profilo da individuare, prima ancora che sul nome da opporre rispettivamente ad Antonio Decaro e a Roberto Fico. Profilo politico o esponente della società civile? Interrogativo quest’ultimo che rende più evidente la portata di quest’autunno elettorale, che continuerà ad essere centrale nel discorso pubblico almeno per i prossimi due mesi e mezzo.
Volendo azzardare un pronostico, possiamo affermare che è probabile che finisca 3 a 3. In che modo? Al centrodestra andrebbero Marche, Calabria dove il forzista Occhiuto è molto avanti rispetto al pentastellato Tridico, e Veneto, dov’è innegabile che Lega e Forza Italia puntino anzitutto a ridurre il gap con FdI a livello nazionale. Infatti, non solo Zaia, ma anche Flavio Tosi potrebbe correre come capolista in tutte le province. Al cosiddetto campo largo, invece, andrebbero Campania, Toscana con l’uscente Giani al momento avanti nei sondaggi, nonostante il partito coordinato a livello nazionale da Arianna Meloni sia in grande crescita in questa regione rispetto al passato, e poi Puglia. Qui Decaro è impegnato in una «corsa solitaria», volendo usare l’espressione che due giorni fa la Gazzetta del Mezzogiorno ha scelto per titolare l’apertura della sua prima pagina.
Se finisse 3 a 3, l’attuale maggioranza verrebbe confermata nella sua capacità aggregante e nella sua vocazione di governo, registrando un buon equilibrio tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Non è un tema di poco conto, considerando le rivendicazioni che ciascuno dei partiti continua a fare in ottica di posizionamento e riposizionamento o più al centro o più a destra. In ambito centrosinistra, invece, si porterebbe avanti la riflessione su come strutturare al meglio l’intesa tra Pd, Avs, Cinque Stelle e Italia Viva, visto che finora sono state registrate vere sintonie più in politica estera che in politica interna ed economica.
Non sono poche le difficoltà anche in ambito territoriale. Il riferimento in questo caso è alla decisione di Roberto Fico di avvalersi, nell’individuazione delle candidature per il rinnovo del consiglio regionale campano, del codice etico: vietata la candidatura a politici sottoposti a provvedimenti giudiziari. In Campania c’è anche il problema del rapporto non facile da gestire tra la componente che fa capo all’uscente De Luca e il resto del Pd. In linea più generale e sempre rimanendo nella metà campo del centrosinistra, non va sottovalutato il fatto che, come efficacemente evidenziato da Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera di venerdì scorso, gli elettori dei Cinque Stelle non sempre mostrano entusiasmo per i candidati di matrice Pd: un esempio è dato proprio dalla Toscana.
Uno scenario diverso da quello qui ipotizzato, dunque una vittoria del campo largo nelle Marche, con un 4 a 2, rappresenterebbe un problema per la maggioranza di governo, soprattutto per Fratelli d’Italia che, oggettivamente, da primo partito del Paese, non può permettersi una sconfitta, sebbene a livello regionale.
Nel pomeriggio di domani avremo qualche elemento in più per capire se e come le elezioni regionali impatteranno sul quadro politico nazionale. Al momento non ci resta che attendere, senza dimenticare, tuttavia, che domani si vota anche in Valle d’Aosta, ma questa volta solo per eleggere il consiglio regionale, che poi sceglierà il Presidente. Nella terra del proporzionale il centrodestra sfida gli autonomisti.