È diffusa la falsa convinzione, fra i non addetti ai lavori, che i prezzi siano gonfiati dalla speculazione o dalla «furbizia» dei commercianti. Con particolare riferimento al settore turistico, si ritiene che i prezzi siano esageratamente elevati e che questo dipenda dalla volontà degli esercenti di «spennare» i consumatori, non rendendosi conto che questa strategia è controproducente a lungo andare.
È opportuno fare chiarezza sul punto. Innanzitutto, va detto che in un’economia di mercato, laddove (ed è il caso di molti segmenti che compongono il settore del turismo) il mercato è approssimabile a quello concorrenziale, i prezzi si formano con l’incontro fra domanda e offerta. In questo contesto, essere furbi significa essere irrazionali e, dunque, stupidi: se il singolo esercente aumenta il prezzo, perde consumatori e, dunque, profitti. Il mercato non è morale e la stretta convenienza economica spinge i produttori a prendere il prezzo come un dato. Ciò è vero particolarmente nel caso del turismo, dove, per molti suoi segmenti (lidi balneari, ristorazione), il mercato è effettivamente concorrenziale e dunque i produttori prendono il prezzo come dato. Ciò non significa ovviamente che i prezzi sono stabili, ma che aumentano se la domanda aumenta e/o se l’offerta si riduce.
La vulgata regge, sul piano logico e fattuale, solo nell’assurda ipotesi del complotto: ci dovrebbe, cioè, essere un produttore unico, peraltro autolesionista nel lungo periodo, che, per cause non note, tiene alti i prezzi. Si tratta di un’ipotesi chiaramente falsa, anche perché non spiega le differenze internazionali: per quale ragione, infatti, i prezzi di offerta di turismo sarebbero più bassi in Albania non è qui dato sapere, se non per l’assurda congettura che gli esercenti albanesi siano più «onesti» o – il che è lo stesso - meno furbi. Né ha senso l’attribuzione di un intento speculativo agli esercenti, dal momento che la speculazione si attua nei mercati finanziari e riguarda lo scambio di titoli sulla base di prezzi futuri (modalità di contrattazione del tutto assente nel settore turistico).
Ciò che si sta verificando è semplicemente un fisiologico aumento di domanda, che – in costanza di offerta – spinge in alto i prezzi. Il settore dei servizi, poi, è tipicamente un settore con rendimenti decrescenti al margine, al contrario dell’industria, e dunque con costi crescenti: le tecniche produttive lì impiegate, infatti, sono tali che all’aumentare dell’impiego di una unità di un input, il costo di produzione tende ad aumentare. L’attuale impennata dei prezzi nel settore turistico dipende dall’andamento dell’inflazione e dunque dall’aumento dei costi di produzione.
A ciò si può aggiungere il cosiddetto effetto Veblen, che attiene a una parte del settore. Ci si riferisce alla relazione questa volta diretta fra prezzo unitario e quantità domandata, particolarmente nel caso dei beni e servizi di lusso. Il turismo di lusso, per definizione, è escludente e con offerta data. Non è cioè possibile – ovviamente - aumentare la numerosità dei paesaggi e quelli considerati molto belli devono tecnicamente essere consumati solo da famiglie con redditi molto alti. Come ebbe a osservare l’economista e sociologo statunitense Thorstein Veblen alla fine dell’Ottocento, in queste condizioni, la domanda di beni di lusso è elevata solo se il prezzo è elevato, dal momento che un prezzo elevato consente di escludere la gran parte dei consumatori dalla fruizione del bene, che diventa dunque elitario e per conseguenza di lusso.
In tal senso, gli afflussi turistici producono un calo del potere d’acquisto dei residenti, almeno di coloro che non ne beneficiano in termini di maggiori entrate o di maggiore occupazione (come nel caso degli alberghi). Le accuse ai produttori sono infondate, dunque. Resta, tuttavia, vero che il problema dell’inflazione settoriale potrebbe essere gestito attraverso l’incentivazione all’aumento della numerosità di imprese: aumenterebbe l’offerta, riducendo la pressione al rialzo dei prezzi. Non sarebbero poi da escludere strutture pubbliche. In questi casi, infatti, non esistendo il movente del profitto, i prezzi sono per definizione più bassi e, in linea di principio, non risentono delle fluttuazioni della domanda.
Vi è infine da considerare il dato per il quale in molti Paesi al mondo il lido balneare non esiste, dal momento che si è consolidata la convinzione che il mare sia un bene pubblico la cui fruizione non può essere limitata da prezzi. Sgombrare il campo dall’equivoco della formazione dei prezzi nel settore può anche significare aprire la strada per avere maggiori spazi liberi sulle nostre spiagge.