I ragazzi degli anni Venti del Duemila guardano la loro società e vedono contesti decisamente bui fra interpreti dei fallimenti del liberismo, un crollo progressivo dei valori democratici, una degenerazione prima della globalizzazione, poi della chiusura nelle derive identitarie fino all’indifferenza.
Il nostro tempo ha bisogno di pensatori capaci che non si ergano a guide, ma che accompagnino tutti in percorsi tanto di condivisione quanto di rispetto delle differenze.
La GMG, che si è chiusa ieri a Lisbona, è stata per tantissimi ragazzi di tutto il mondo, per gli adulti che hanno guardato e ascoltato, per i tanti credenti di varie fedi e per coloro che non credono, una strada tracciata, forse l’unica possibile: quella del navigare insieme.
Non è un caso che Francesco, arrivando in Portogallo, abbia citato il poeta dell’inquietudine, il miglior interprete delle ansie quotidiane, dello spaesamento, dell’altrove e dei dubbi come Fernando Pessoa, il quale – riprendendo un proverbio della cultura classica – scrisse: «Non è importante vivere, ma navigare».
Se qualcuno ha mai navigato, anche su una semplice barca a vela, saprà benissimo come l’andar per mare è un atto di comunanza, in cui meno si è soli e più si è “connessi” agli altri, vicini o lontani, più si sta sicuri e più si procede. La lezione del Pontefice di Roma continua a essere aperta all’ecumenismo, alla ricerca di quel che ci avvicina ben al di là di quello che ci divide (non solo dal punto di vista della fede, ma anche da un punto di vista geopolitico). Le prossime tappe dalla Mongolia, di fine agosto, fino alla Giornata Mondiale della Gioventù della Corea del Sud, nel 2027, sono un programma politico, che parla all’Occidente, sempre più autocentrato, e all’Oriente, non di certo privo di storture nell’interpretazione delle libertà individuali, della storia del mondo o del ruolo stesso delle religioni. Non è certamente un caso il fatto che Bergoglio, nel quotidiano “di partito”, come lui stesso ironicamente lo definisce (L’Osservatore Romano), chiede continuamente di aprire focus sull’ambiente, sui mari, sugli altri conflitti oltre quello in Ucraina, sulla situazione e sulla manipolazione della religione, tanto in Afghanistan quanto in Iran, sulla fame di alcuni posti della Terra, come tutta l’area del Sahel, sempre più minacciata da manovre interne ed esterne al continente africano, in cui le singole persone non hanno alcuna voce in capitolo.
Papa Francesco, seguendo la via del Vangelo, presenta ai ragazzi e alle ragazze una fede che non è strumento di condanna, ma via di dialogo e di accoglienza “para todos”. Il suo monito a non rinchiudersi nella ragnatela delle paure è un progetto di futuro, dove si ha necessità di “imprenditori di sogni” al posto dei modesti amministratori delle paure. In quest’orizzonte di idee, non c’è spazio per la massimizzazione del profitto, non c’è spazio per una società intrappolata in regimi liberticidi, ma non c’è spazio neanche per i cosiddetti “esportatori di democrazia”, che si rivelano poi disseminatori di diseguaglianze.
Le critiche dei detrattori di Francesco sono sempre le stesse: “parole difficili da realizzare”, “utopie”.
Occorre, però, chiedersi dove può andare un mondo che non sa vedere nell’utopia un progetto politico, che non sa vedere nel dialogo un nucleo tanto teorico quanto pratico per non perdersi in una concatenazione di interessi, che accendono micce. Il politologo di Stanford, Francis Fukuyama, ha spiegato più volte i limiti e i diversi pregi del liberalismo per salvaguardare le nostre libertà e le nostre democrazie; eppure, nessuna linea di pensiero, in questi nostri anni Venti, sta mostrando maggiore lucidità e concretezza di Francesco, anche nella ricerca di equilibri mondiali.
Dopo la guerra fredda - dove il liberalismo era la bandiera dell’Occidente - c’è stata la “fine della storia”, quando lo stesso liberalismo si era illuso di conquistare tutto il globo. Poi sono arrivate le disillusioni delle democrazie occidentali. Che cosa fare oggi? Piangersi addosso nelle disillusioni? Continuare a coltivare l’idea di un pianeta di serie A e di uno di serie b?
La via di Francesco è quella del multicentrismo, che non escluda di certo il dialogo ineludibile con la Cina (si vede anche, in tal senso la prossima missione di Zuppi), sulla strada del futuro. Papa Francesco sa bene che non sono le guerre ad aver definito il mondo, né le relative paci diplomatiche (da cui tutti escono perdenti, in mezzo a milioni di morti), ma le utopie, intese come luoghi da progettare.
La strada delle sperequazioni economiche o dell’individualismo feroce o della confusione fra liberismo e liberalismo fanno parte di un mondo vecchio, in cui gran parte dei ragazzi, già oggi, non si riconoscono più. I tavoli mondiali della politica hanno tanto da imparare dalle giornate di Lisbona.