Una recente ricerca condotta da Confimi Puglia, Lum di Casamassima, UniBa ed M74Solution srl, ha indagato le condizioni delle imprese pugliesi in merito alla cultura della gestione delle risorse umane e del welfare aziendale. Le aziende che hanno risposto ad un questionario quantitativo, su un campione significativo di 100 imprese, sono composte da 50 addetti per il 78% e per il 22% da aziende con oltre 50 dipendenti. Hanno oltre 10 anni di servizio il 71% dei dipendenti ed ha meno di 10 anni di anzianità di servizio il 29% degli addetti. La presenza del responsabile delle risorse umane riguarda il 46% di queste, mentre il 54% non ha un tale responsabile. Di queste, gestisce i dipendenti con personale dedicato il 31% delle imprese, mentre le aziende in cui è l’imprenditore che assolve questo compito rappresentano il 15%. Le imprese medio grandi (oltre 50 dipendenti), affidano la gestione del personale ad un responsabile interno (74%), il 26% non ha un direttore risorse umane e i dipendenti sono gestiti dall’imprenditore (per 12%) o da personale dedicato (l’88%). Nelle Pmi (fino a 50 dipendenti) il 38% delega la funzione HR alla direzione risorse umane e il 62% non ha questa figura internamente, ma utilizza personale dedicato (58%) e in alcuni casi se ne occupa l’imprenditore (42%).
La necessità di una direzione risorse umane è dovuta all’opportunità di avere una «visione terza» rispetto alle dinamiche relazionali e organizzative, al fine di gestire con imparzialità il corpo aziendale, seguendone gli sviluppi in modo funzionale ai bisogni. Per l’85% delle imprese la figura del responsabile delle risorse umane è presente dalla nascita dell’azienda.
Per quanto riguarda il welfare aziendale, ha investito in un piano di welfare il 65% di aziende con più di 50 dipendenti e il 33% di aziende con meno di 50 addetti. Ha siglato un accordo sindacale il 16% di imprese rispondenti e ha effettuato azioni di welfare con scelta datoriale l’84% delle imprese indagate (che include l’accordo aziendale auto-vincolante che prevede l’intera deducibilità del costo dell’investimento in beni e servizi). L’analisi dei bisogni dei dipendenti a monte del piano è stata condotta con strumenti di rilevazione formali (59% si e il 38 % no): per le Pmi il 75% in via informale e il 25% con strumenti formali di indagine. Per le medie e grandi il 50% ha utilizzato un sistema di analisi formale e un 50% in via informale. Spesso, è opinione condivisa che, soprattutto nelle Pmi, si conoscano i propri dipendenti e che ci sia una sufficiente confidenza per consentire loro di esprimere i propri bisogni. La nostra esperienza ci dice che grazie alla presenza di figura specializzate nelle indagini e nell’ascolto, si può avere un quadro più oggettivo e variegato.
Perché non hanno ancora realizzato un piano di welfare? Troppo costo o non essenziale (25%) mai richiesto dai lavoratori (56%) e (19%) altro. Ma è proprio vero? In realtà il costo è imputabile ad un’azione di cambiamento anche culturale che incide su comportamenti e sui valori del gruppo, un investimento che ritorna nel tempo e che può derivare sia da un’analisi dei costi e degli sprechi sia da altre fonti di finanziamento o auto finanziamento. L’aumento della produttività, con la riduzione degli errori e dell’assenteismo, insieme all’efficientamento delle risorse (tempo e costi) dimostra che si tratta di un anticipo su un ritorno con interessi. Il piano di welfare aziendale ha comportato un aumento di produttività del 70%, con ampie possibilità di miglioramento di coloro che non si ritengono soddisfatti. Ci sono numerose iniziative di benessere che non si legano a premi di risultato come lo Smart Working, il Diritto alla disconnessione e la Banca ore: sono i nuovi benefit per le giovani generazioni che incidono sulla loro motivazione anche rispetto alla retribuzione.
Oltre a questi, le percentuali maggiori di servizi e attività avviate per i dipendenti, troviamo al primo posto lo smart working, al secondo posto la flessibilità in ingresso e in uscita, al terzo posto la flessibilità della pausa pranzo, al quarto posto le iniziative e riunioni periodiche per il benessere e il clima aziendale e al quinto posto l’area ristoro/bar aziendale. Le aziende pugliesi medie e grandi (75 %) e le pmi (46%) sono interessate ad investire in un piano di welfare aziendale.
La ricerca, tra le altre cose, ha rilevato l’importanza di favorire una maggiore interconnessione con le istituzioni territoriali per la realizzazione di piani integrati di welfare. Oggi, inoltre, è possibile certificare le iniziative per il benessere e il welfare, anche attraverso il Family Audit, ideato dalla provincia autonoma di Trento ed esteso a livello nazionale dal governo, Dipartimento per le Politiche della Famiglia (12 sono le aziende certificate ad oggi in Puglia) o mediante altre certificazioni come quella di genere, che consentono di attivare percorsi di benessere e pari opportunità uomo-donna in azienda, rimuovendo le discriminazioni e le barriere in ingresso e nella permanenza e avanzamento delle donne nei livelli apicali.