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Tra competenze e «lealtà», ora per le nomine serve un nuovo sistema

 
Pino Pisicchio

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Pino Pisicchio

Tra competenze e «lealtà», ora per le nomine serve un nuovo sistema

Un’idea potrebbe essere quella di un bouquet di «nominabili» selezionato in base ai criteri della comprovata capacità e della competenza da parte di agenzie indipendenti

Sabato 27 Maggio 2023, 14:00

In genere accade nel solstizio di primavera, con cadenza a quattro - cinque anni. Combacia con la durata delle legislature o giù di lì. L’arrembaggio delle nomine negli Enti di Stato e dintorni è un classico, un evergreen della politica alla latitudine di Roma capitale, dove si consuma il rito che appassiona assai i retroscenisti dell’informazione.

In verità dopo decenni di privatizzazioni selvatiche che hanno scarnificato l’intervento una volta massivo dello Stato nell’impresa industriale, ancora molta roba è rimasta da nominare. Quelli bravi, che sanno fare i conti (ma non raccontano mai la fonte da dove attingono), avevano calcolato alcune centinaia di posti vacanti o rinnovandi contando dall’Enel a Leonardo, da Ferrovie alla Rai e molto ancora. Grossi pezzi della liturgia si sono già consumati occupando le caselle con la filosofia dello spoils system che vuol dire esattamente quello che sembra: «sistema delle spoglie», insomma modalità predatoria, secondo la filosofia prodotta dagli americani già un paio di secoli fa, per cui chi vince porta a casa tutto quel che gli pare nell’ambito dell’amministrazione pubblica. Per estensione le «spoglie» sono diventate anche gli enti pubblici economici e le altre istituzioni in cui lo Stato deve mettere mano. L’Italia politica l’ha adottato con vigoroso entusiasmo trent’anni fa, con il passaggio dal sistema elettorale proporzionale al maggioritario, consentendo ai vittoriosi di portare a casa un bottino sproporzionato (the winner takes it all, cantavano gli ABBA, il vincitore si prende tutto), e facendo finta di non vedere alcuni stridori anche con la filosofia costituzionale. In particolare laddove s’impone la procedura concorsuale per garantire la copertura dei posti nella pubblica amministrazione in base al principio della competenza e dell’autonomia del funzionario, cosa che va subito a pallino se il criterio diventa quello della fedeltà non allo Stato, ma al capo politico.

La domanda, dunque, sorge spontanea: e prima come si faceva? Prima c’era il manuale Cencelli (dal nome di un funzionario della DC adibito ad elaborare algoritmi per l’assegnazione degli incarichi), che affidava alla logica proporzionalistica l’assegnazione degli incarichi: quanto conta la tua componente politica, tanto, percentualmente, si porta a casa. Ovviamente c’era un algoritmo correttivo per avvantaggiare i vincitori, ma il principio restava proporzionale e nessuno rimaneva senza la sua bella poltroncina. E, soprattutto, non si toccava la Pubblica Amministrazione, selezionata su base concorsuale.

Non esprimiamo, ovviamente, giudizi di valore sul prima e sul dopo, per carità e non facciamo finta di non capire che l’indirizzo politico di un nuovo governo ha bisogno di poggiare su articolazioni dello Stato collaborative e non «politicamente ostili» (come sono quelle insediate col sistema delle spoglie dopo che hanno vinto i nuovi). Dunque non partecipiamo con particolare commozione all’elevazione da parte delle opposizioni di alti lai contro il metodo brutale adottato, per esempio, in Rai dal nuovo governo: non ricordo nell’ultimo trentennio che abbiano mai prevalso criteri diversi dall’appartenenza stretta (se originaria o raccolta su miracolose vie di Damasco, è solo un dettaglio) nelle nomine per il controllo dei tg. Ci domandiamo, però, se davvero non possa esistere un meccanismo che, senza ipocrisie, consenta una scelta da parte dei vincitori che garantisca non solo una lealtà verso il governo, ma anche un livello di competenza e d’imparzialità necessario per far funzionare al meglio le aziende di Stato.

Un’idea potrebbe essere quella di un bouquet di «nominabili» selezionato in base ai criteri della comprovata capacità e della competenza da parte di agenzie indipendenti - penso ad un organismo formato da esponenti delle authorities impegnate nei settori implicati nelle nomine - e poi sottoposto alla scelta della politica. Che alla fine i governi si scelgano in mezzo a quel mazzo una personalità che gli aggrada, piuttosto che un’altra, ci sta: la nomina è politica. Ma almeno saremmo sicuri che la nominata o il nominato sarebbe portatore anche della competenza necessaria, oltre che della lealtà al governo.

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