Premessa d’obbligo: questo che state per leggere è lo sfogo di un amante deluso e come tutti gli sfoghi degli amanti delusi poco lucido – ne chiedo scusa fin d’ora -, pieno di rabbia e frustrazione, di sconcerto e delusione. E ancora di rabbia. Ce l’ha insegnata lui, la rabbia, lui, Bruce Springsteen, l’oggetto del mio amore deluso. Avevo smesso da poco i pantaloni corti quanto ho sentito per la prima volta alla radio «Born to run»: «Questa città ti strappa le ossa dalla schiena. È una trappola mortale, è un invito al suicidio, dobbiamo fuggire finché siamo giovani, perché i vagabondi come noi, piccola, sono nati per correre».
Per quegli strani corto circuiti che solo l’arte riesce a compiere, il mio paesello sperduto nella provincia barese diventava di colpo una propaggine dell’America che andavo scoprendo nei romanzi – «la scoperta di Hemingway» cantava Guccini nella meravigliosa «Incontro». E la mia irrequietezza adolescenziale trovava forma ed espressione nella rabbia di quel menestrello a stelle e strisce che la cantava a quell’altra America che produceva solo «autostrade piene di eroi distrutti». Lo straccione che si ribella al suo destino ero io che cercavo il mio, insieme dovevamo correre per non restare ingabbiati nelle nostre esistenze predestinate. E per propellente avevamo solo una buona dose di rabbia. Sì, una rabbia buona, onesta, quella che irrora ogni gioventù che ha il dovere di rinnovare il mondo.
Da allora sono passati gli anni, si sono susseguiti i dischi, e in tanti, tantissimi siamo cresciuti insieme a Bruce. Nei suoi eroi della working class, nelle sue ballate dolenti ambientate in qualche dimenticato squarcio della provincia americana, nei sobborghi pieni ruggine e disoccupati, negli amori in bianco e nero ci siamo immedesimati. Empaticamente riconosciuti.
L’ultimo disco di Bruce era una tappa da onorare, un suo concerto un rito identitario irrinunciabile. Ricordo il primo, negli anni ’80, allo stadio Flaminio a Roma, cinque ore di rock senza risparmio e la gente a ballare sul prato fino a tarda ora ubriaca di musica e felicità. Era il nostro Bruce, quello di sempre, quello delle vite di seconda mano, ma anche della rabbia e della ribellione. Della speranza. Ce l’ha spiegato bene il professore Alessandro Portelli, che sono andato in pellegrinaggio a sentire qualche settimana fa all’Auditorium di Roma alle lezioni di storia della Laterza, che nei testi di Bruce Springsteen aleggia un sogno ricorrente. Non a caso qui e là sono disseminate svariate citazioni bibliche. E tutte le corse mirano al compimento di una speranza, tanto che l’America diventa una sorta di Gerusalemme laica. È questa la ragione per cui tutti, anche quelli che non vi hanno mai messo piede, potevano a ragione cantare «Born in USA» dove gli USA erano il sogno da abitare.
Insomma, Bruce era più di una rock star. Molto di più. Scrivo «era» perché ultimamente sono successe alcune cose. La prima: qualche mese fa ho letto che Backstreets, la storica fanzine dedicata a Bruce, chiude in aperta polemica col Boss per il metodo scelto per la vendita dei biglietti dell’ultimo concerto: una sorta di algoritmo che mettendo a confronto le richieste determina il prezzo, che può arrivare fino a 4000 dollari e oltre. È pensabile che il popolo di Bruce Springsteen, i working class hero, possa sborsare una cifra del genere? E quale senso possono avere le sue parole in un contesto che esclude quelli a cui sono rivolte? Già sento gli sghignazzi dei miei amici detrattori: ha fatto i soldi sui poveracci il tuo Bruce e adesso li manda a quel paese. Seconda cosa: al momento in cui scrivo Bruce Springsteen ha confermato il concerto a Ferrara. Attorno morte e desolazione e lui sul palco che canta.
Neanche nel mio peggior incubo ho sognato una scena del genere. Ma come ti è venuto in mente, Bruce? Ho cercato disperatamente una ragione per spiegare un comportamento così assurdo e mi sono detto che da vecchio forse Bruce Springsteen non ne può più di essere un punto di riferimento per milioni di persone, che vuole scrollarsi da dosso il peso del suo mito. Delle sue storie. Dei suoi fan. Vuole finire la sua vita da solo. D’accordo. Può essere. Ma perché scegliere un modo così...
















