L’interessante articolo di Gaetano Quagliariello («Gazzetta» del 2 aprile scorso) sulla «rivolta» in Francia contro la Legge che aumenta l’età pensionabile induce a qualche riflessione.
Anch’io, che pure, culturalmente, sono portato a guardare con benevolenza rivolte e rivoltosi, sulle prime sono rimasto interdetto e perplesso. Da 62 a 64 anni è un problema? Andare in pensione a 62 anni, oggi, con l’aumento dell’aspettativa di vita, sembra assurdo. Andarci a 64 anni sembra già un privilegio, se rapportato all’Italia e al resto al mondo.
Uno schiaffo alle giovani generazioni che la pensione rischiano di non averla se non in termini irrisori. Poi, ho cominciato a rifletterci sopra. Certo, c’è il gusto dei francesi, e dei parigini in particolare, per le sommosse e le barricate.
Il pensiero va subito alla Comune e alla rivoluzione del 1789 da cui è nata la civiltà occidentale.
Ma c’è anche, credo, qualcosa di più profondo se una protesta così corporativa coinvolge tante persone di così varia estrazione politica e riesce ad avere tanto consenso anche nell’opinione pubblica che non sale sulle barricate ma le guarda con favore.
Quagliariello sostiene, a ragione, che in un momento di insicurezza come quello che viviamo, qualsiasi attacco, e anche ritocco, al welfare rischia di creare il quarantotto. Certo, è così, ma io credo che sia in gioco soprattutto un principio fondamentale di égalité. È vero che andare in pensione a 62 anni pare un controsenso e un privilegio scandaloso.
Ma perché, è la domanda, se si tratta di ridurre i privilegi, anche se si tratta di privilegi, se si devono fare sacrifici, anche giusti e ragionevoli, si deve cominciare sempre dai poveri?
Anche il reddito di cittadinanza, per carità, è uno strumento demagogico che consente abusi e imbrogli e fa acqua da tutte le parti. Ma, riflettiamoci, riguarda gente che, con tutti gli imbrogli, lavoro a nero, etc., è sempre, in massima parte, in soglia di povertà. Se dobbiamo eliminare (e li dobbiamo eliminare) imbrogli e abusi, dobbiamo cominciare sempre e solo dai poveri? Da quelli che con tutti gli imbrogli e gli abusi portano a casa solo gli avanzi del grande banchetto del capitalismo ingiusto e radicalizzato dei nostri tempi.
Il welfare non regge. L’INPS non ce la fa. Ma i tagli devono riguardare soltanto i poveri? O cominciare dai poveri?
In Italia ci sono privilegi fiscali odiosi. La tassa di successione, per esempio, al 4%, percentuale ridicola rispetto a quella di tutti gli altri paesi capitalisti. L’evasione fiscale continua ad avere cifre vergognose per un Paese civile. Che si fa per contrastarla, ma seriamente?
Anni fa, Visco, fece pubblicare sui giornali i redditi dei contribuenti e fu travolto dalle critiche e dalle reazioni. Fu rimosso e cancellato dalla politica. Eppure, qual è il problema a pubblicare i redditi? Se vedo che un mio coinquilino che dichiara 15/20.000 euro (e non sono moltissimi a farlo) gira in Mercedes e ha la villa al mare, ho diritto di sputargli in un occhio, o è incitamento all’odio sociale? Ecco, il punto mi sembra essere questo. Sta sorgendo e si sta diffondendo un malcontento sociale che prende forme e strade diverse. Vedi l’ascesa dei 5Stelle, arrivati nel 2018 al 35%, che accomuna destra e sinistra. Vedi, in Francia, Mélenchon e Le Pen.
Ma che ha, in comune, il rifiuto dei privilegi e delle élites. Di qui, il declino della sinistra fattasi elitaria. Della sinistra che decide di farsi carico di tutte le compatibilità possibili (I care di Veltroni al Congresso del Lingotto) magari per stare al Governo a tutti i costi anche perdendo le elezioni. E trascurando il ceto di riferimento, operai, poveri, precari, gente in difficoltà che, ovviamente, trasloca altrove, dove c’è almeno una parvenza di protesta sociale. Il problema è orientarla invece di farle prendere derive populistiche.
Oltre Parigi, anche a Berlino, Lisbona, Tel Aviv rinasce la voglia di piazza. Sono in discussione i costi degli affitti e gli sfratti, l’aumento dei salari, il ripensamento dello schema lavoro/tempo libero come tempo umano. E soprattutto la protesta contro ingiustizie e disuguaglianze.
Il mondo ribolle. Il problema del Terzo e Quarto mondo che non ci sta a vivere in miseria e sottosviluppo e vuole invadere l’Occidente per godere la sua fetta di benessere, è un problema serio che non si risolve perseguendo gli scafisti in tutto l’orbe terracqueo. Bisogna ridistribuire parte del nostro reddito di occidentali benestanti. Saltano le regole. I grandi della terra fanno i loro giochi (bellici) per ridisegnare un nuovo ordine mondiale. Ma sono sicuri che le moltitudini insoumises saranno d’accordo?
È uno scenario inquietante ed esaltante insieme quello che si presenta. E ritorna la domanda iniziale. Vogliamo provare ad eliminare o almeno ridurre in maniera consistente le disuguaglianze o si continua con l’eterna ricetta che se c’è da tirare la cinghia si comincia dagli ultimi e non dai primi?