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Scuola, Valditara promosso sul pubblico/privato, ma sugli stipendi non ci siamo

 
Gaetano Quagliariello

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Gaetano Quagliariello

Scuola, Valditara promosso sul pubblico/privato, ma sugli stipendi non ci siamo

Entrando nel merito, condivido la sua proposta di relativizzare il confine tra pubblico e privato: sia per quel che riguarda il finanziamento di scuole e insegnamento, sia per quel che concerne la natura dell’istruzione

Venerdì 27 Gennaio 2023, 13:24

Da troppo tempo la scuola è la grande malata della società italiana. Fa dunque bene il Ministro Valditara a ricercare nuove strade, anche ardite, per cambiare la realtà esistente. Lui, orgogliosamente “conservatore”, sa bene che in quest’ambito quel che c’è da conservare, purtroppo, è assai poco.

Entrando nel merito, condivido la sua proposta di relativizzare il confine tra pubblico e privato: sia per quel che riguarda il finanziamento di scuole e insegnamento, sia per quel che concerne la natura dell’istruzione. E’ del tutto evidente che i soldi statali per migliorare la situazione da soli non bastano. Ed è ancora più chiaro che la scuola custode dell’arca santa di una sorta di religione civile dello Stato è il residuo di un tempo che non c’è più. La si può rintracciare, con una punta di malcelata nostalgia, in un romanzo di Pagnol. La dura realtà del presente ci impone, invece, il confronto col dilagare del pensiero liquido. Per questo, anziché provare a resuscitare ideologie statolatriche, è molto meglio affidarsi alla valorizzazione del merito. E se un insegnamento si fonda su precisi ancoraggi culturali, per il ragazzo è certamente un vantaggio: con più facilità potrà farsi un’idea autonoma e sviluppare un’attitudine alla critica.

Condivido anche la proposta di escludere dal patto di stabilità europeo la spesa per istruzione, formazione e ricerca. I soldi impegnati in questi ambiti sono soldi benedetti. Nella peggiore delle ipotesi vanno considerati “debito buono”: investimenti sul futuro da non confondere con altri tipi di debito. Per l’Europa è già di per sé difficile reggere la competizione nel mondo globale; proviamo a non renderle il compito impossibile!

Laddove, invece, mi sento di dissentire in modo netto dal Ministro è sulla proposta di differenziare gli stipendi per maestri e professori a seconda delle aree geografiche nelle quali esercitano i loro compiti. Per l’essenziale, si tratterebbe di pagare meglio chi lavora al nord perché lì la vita costa di più e, conseguentemente, il potere di acquisto sarebbe minore. La questione, inevitabilmente, riporta alla mente le “gabbie salariali” e le lotte operaie della fine degli anni Sessanta.

Il problema, in questo caso, è però differente e non perché s’intenda negare che la vita a Milano costi molto di più che a Vibo Valentia. Per chi insegna al sud, però, vi sono altre condizioni di svantaggio che rendono la vita più difficile, anche se meno costosa. Ad esempio: chi ripaga un docente del sud che lavora lontano da casa della precarietà della rete stradale e della penuria dei treni? Con che cosa compensiamo la insoddisfacente digitalizzazione per cui in alcuni luoghi, non solo nuove modalità d’insegnamento, ma persino fare una telefonata diventa una “sperimentazione” al limite dell’impossibile? E che importanza attribuiamo alle condizioni di insicurezza nelle quali, in alcune parti del Mezzogiorno, lavorano i “maestri” con il compito primario di sottrarre i giovani all’influenza della criminalità? E l’elenco degli “svantaggi”, purtroppo, potrebbe ancor più allungarsi (…).

Il fatto è che se si tiene alla coesione territoriale del Paese si pensa, semmai, a retribuire meglio chi si trova a operare nelle aree più difficili, che spesso sono anche aree di rischio. Se poi si considera la peculiarità della “fabbrica scuola”, si comprende anche perché questa scelta si rifletta sui giovani e, attraverso di loro, sulla possibile redenzione dei territori più svantaggiati.

E’ una realtà incontrovertibile: i giovani del sud hanno meno opportunità dei coetanei che crescono altrove. Il loro capitale più prezioso è assai spesso quello culturale. Se glielo si svaluta, il futuro diventerà più precario e la prospettiva di andar via più pressante. Nel XXI secolo, però, in piena globalizzazione, andare altrove dev’essere una scelta: non può trasformarsi in una necessità. Ministro Valditara, da conservatore a conservatore, ci ripensi!.

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