Il tema del fine vita è stato riproposto nella discussione del Governo Regionale. Vorremmo ricordare quanto Papa Francesco ha sottolineato nell’udienza del 22.6.2019: «Non siamo proprietari, ma servitori della vita».
Come medici cattolici, cittadini di uno Stato democratico, desideriamo offrire al dibattito in corso un nostro contributo per accompagnare i «fragili» «con-passione terapeutica». Poiché nessuno può eliminare né l’infelicità, né la morte, forse dovremmo saperle vivere, saperle rappresentare, testimoniando che sono elementi complessi di un pensiero ancora più complesso. Esistono molti conflitti, ma non vorremmo che motivazioni affettive ed etiche siano sopravanzate da considerazioni tecniche o economiche.
È bene che la discussione sulla complessità del fine vita non sia assolutamente omessa: va affrontata con anticipo, controllando, pianificando e valutando i bisogni di un’assistenza di qualità e di care. Occorre che il SSN individui una strategia. Il diritto di accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore previste dalla legge 38/2010 non devono mai essere omesse, ma essere centrate sui bisogni dei pazienti e rese di qualità.
È inaccettabile l’incredibile spinta a promuovere leggi eutanasiche per pura ideologia. Dovremmo saper integrare la legge 38/2010 con la legge 219/2017 garantendo alta qualità, proporzionalità delle cure e certificazione dei servizi offerti; innalzare il livello di formazione ed educazione continua in sanità, riflettere sulla attuale mancanza di strutture formative per i car giver e ciò al fine di realizzare un’assistenza domiciliare integrata h24 che vada a garantire l’auspicata sanità di prossimità.
Dovrebbe essere impegno di tutti rafforzare il ruolo dell’eubiosia, promuovere accompagnamento assistenziale e ogni supporto indispensabile per una cooperazione di sostegno non solo sanitario ma anche familiare e amicale.
È indispensabile assicurare leadership a tutti i livelli per garantire indirizzi, motivazione e supporti ad una organizzazione di settore capace di dare assistenza attiva e certificata nel percorso di fine vita e in tutte quelle condizioni definite impropriamente «terminali» perché di fatto però non sono sempre terminali.
Non bisogna dimenticare che il mondo occidentale si accosta alle cure di fine vita con la testa piena di un bagaglio molto pesante e stratificato di tradizioni, miti e cultura, che non possono essere sottoposti a censura ma richiedono saggezza e revisione. Sia messo in discussione ogni isolamento, emarginazione, sradicamento e ogni nascondimento negli ospedali, affinché la sofferenza non sia mai solitaria e silenziosa.
Diciamo NO al disumano ragionevole e al suicidio assistito per pietà! È indispensabile rafforzare il vincolo malato-medico-famiglia, migliorare la qualità della care, prendersi cura in maniera olistica, cercando di capire il carico psicologico senza mai infliggere sentenze o sofferenze incompatibili con la dignità del paziente.
I medici e gli operatori sanitari lavorino con proporzionalità terapeutica e si adoperino per una forte e rinnovata alleanza con i familiari, al fine di utilizzare i giusti e più competenti supporti. Le scuole di specializzazione si facciano carico di formare medici, numericamente proporzionati, cercando di colmare una carenza che oggi non è più tollerabile, soprattutto per una assistenza competente ed umanizzata senza ostinazioni terapeutiche improprie.
*Presidente Nazionale Associazione Medici Cattolici Italiani