La vita pericolosa dei governi di coalizione della prima repubblica era costellata di verifiche. Così venivano chiamate le riunioni tra il presidente del Consiglio in carica e i segretari dei cinque partiti di governo. Reclamate da un partner scontento o occasionate da un incidente parlamentare le verifiche servivano a registrare l’alleanza, insomma, a fare il punto e anche il tagliando alla maggioranza e al governo.
Il rito delle verifiche si è un po’ diradato nelle repubbliche successive ma senza sparire del tutto; prova ne sia che pur non battezzandole verifiche agli incontri di vertice per sopire e troncare tensioni e bisticci hanno fatto ricorso Berlusconi e Prodi, Monti e persino l’olimpico Draghi.
Ebbene, se il momento di una verifica non è ancora arrivato – il governo è in carica da appena 100 giorni – ci si chiede quanto a lungo durerà lo spettacolo di sottosegretari che scavalcano i propri ministri, di distinguo e impuntature tra i capigruppo della maggioranza anche dopo il varo della legge finanziaria, di esponenti dei partiti che hanno idee molto diverse circa le responsabilità dei medici no vax, sull’utilità del MES, se deve avere la precedenza l’approvazione dell’autonomia differenziata o le riforme della giustizia.
Il governo per ora non corre rischi e non ne correrà fintanto che le opposizioni anziché disputare con la maggioranza preferiranno farsi la guerra tra loro, tuttavia è naturale interrogarsi: se sono bastate queste poche settimane di normale amministrazione per generare non poche fibrillazioni mi domando cosa accadrà se e quando Giorgia Meloni deciderà di passare dalle parole ai fatti per attuare la grande riforma che è il cuore del suo progetto politico.
Faremmo torto alla premier negando serietà al suo proposito di riformare la Costituzione puntando all’elezione popolare del presidente della Repubblica, il cosiddetto semipresidenzialismo.
Come è noto questa è stata a lungo la posizione di Craxi e dei socialisti e anch’io l’ho sempre sostenuta pur dichiarando la mia preferenza per un'altra forma di presidenzialismo, quello che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio anziché del presidente della repubblica.
Non ho cambiato idea. Il sistema francese è, di fatto, una monarchia elettiva, si elegge un Presidente della Repubblica che è capo dello Stato, dunque regna incontrastato e incontrastabile ma senza sporcarsi le mani con la fatica del governare che vien delegata a un primo ministro che gli fa da parafulmine e paga per lui in caso di difficoltà, di errori e della conseguente caduta dei consensi.
Non per nulla quel sistema fu concepito da un uomo che possedeva l’ineguagliabile carisma del generale De Gaulle che con la sua scelta di costituire un governo francese in esilio aveva riscattato l’umiliazione della Francia di Vichy occupata e asservita ai nazisti.
Non vedo all’orizzonte personalità italiane neanche lontanamente paragonabili a un De Gaulle e la storia successiva della Francia dimostra che non basta l’abito e nemmeno l’elezione popolare per fabbricare un presidente re. Per non dire che con il semi presidenzialismo francese ci sono state ripetute esperienze di coabitazione tra un presidente della repubblica di una parte politica e una maggioranza parlamentare di opposto segno politico.
Quanto detto credo giustifichi la preferenza per un sistema in cui il presidente scelto dai cittadini non è un irraggiungibile capo dello Stato, ma un capo di governo che assume la responsabilità quotidiana, personale e diretta, della conduzione di tutti gli affari politici senza dover spartire questo ruolo con altri.
Nel proporre la sua versione di presidenzialismo Giorgia Meloni ha prudentemente dichiarato la propria disponibilità a discutere anche ipotesi diverse. Nondimeno la prima risposta del PD è stata un no, un no pregiudiziale, un no a qualunque revisione costituzionale avanzata dalla destra.
In tutta franchezza non sembra un atteggiamento responsabile. La destra in Parlamento ha da sola i numeri per cambiare la Costituzione e l’interesse del PD non è certo quello di chiudersi a riccio. Al contrario, la procedura lunga e complessa di revisione costituzionale potrebbe essere in questa legislatura l’unica occasione per il Pd e per le opposizioni di rientrare in gioco e dalla porta principale.